Credere negli ideali di pace e giustizia

CARACAS.- Mons. Giacinto Berloco, Nunzio Apostolico in Venezuela dal 2005, si congeda da noi per proseguire la sua Missione in Belgio a Bruxelles, proprio nel cuore dell’Europa, dove la Santa Sede lo ha destinato. Ci accoglie cordiale e come sempre, disposto ad ascoltare i nostri interrogativi, a rasserenarci con le sue frasi equilibrate, dotte. La Nunziatura Apostolica rappresenta davvero un’isola di pace nel tumulto di questa grande città. S’ha l’impressione, una volta entrati tra le sue mura, che niente di male può più accaderci, che la saggezza antica dei secoli vi é stata trasmessa da chi ha votato la propria vita al bene del prossimo. Dell’America Latina, Mons. Giacinto Berloco, ne conosce l’anima, ne ha respirato il continuo disperato desiderio di pace, l’insistenza dei suoi popoli nell’essere compresi, rispettati, protetti. Mons. Berloco è stato nominato da S. Santitá Giovanni Paolo II, nel 1993, Nunzio Apostolico in Costarica e poi, nel 1998 nel Salvador e nel Belice. É giunto in Venezuela nell’anno 2005, mentre il Paese viveva momenti agitati, momenti che perdurano ancora anche se “in sordina”. E la prima domanda che rivolgiamo a Mons. Berloco, ci riporta al momento in cui lo incontrammo per la prima volta:


– Eminenza, lei é giunto in Venezuela in un momento difficile. Nell’intervista rilasciata allora, al nostro Giornale, esortava il popolo venezolano “ad essere e vivere in un atteggiamento d’amore e di perdono”. Crede oggi che in questi momenti di grandi contrasti e confusione ideologica, può essere ancora possibile la realizzazione di una società fraterna e pacifica?


– Riprendendo le parole del mio arrivo, l’esortazione é ancora valida. Non perché tutti dobbiamo avere le stesse idee, peró credo che il messaggio cristiano é di fraternità per chi crede nel valore dell’armonia, del rispetto mutuo e questo rappresenta l’impegno di uno sforzo in cui ciascuno deve mettere la propria parte. S. Santitá il Papá Giovanni XXIII, soleva affermare che molte volte ciascuna delle parti chiamate in causa, hanno in comune divergenze e consensi, poiché ciò fa parte dell’essere umano. Ed esortava ad appoggiarsi sugli ideali di pace e giustizia.


– Come é riuscito a conciliare la missione diplomatica con la parte umana?


– Il Nunzio ha una doppia funzione: diplomatica con le autoritá della Nazione e poi, c’é l’aspetto ecclesiastico con la Chiesa venezolana, rappresentata dai Vescovi che costituiscono la Conferenza Episcopale. Ci sono inoltre, le parrocchie e le autorità diocesane. Con il Governo, ho cercato di mantenere al massimo il dialogo sollecitando possibili incontri, risolvendo alcune difficoltà e posso affermare di sentirmi sereno nell’aver aperto tali scambi. Con la Chiesa locale, le relazioni sono state fraterne e, quale rappresentante del Papa, ho ricevuto molte manifestazioni d’affetto dalle comunitá parrocchiali, dai gruppi apostolici. Ho visitato tutte le Diocesi del Venezuela. Conosco da vicino la realtà delle comunità cattoliche. Le autorità municipali, sono sempre state tutte molto cortesi con me. Si può dire che abbiamo applicato insieme il metodo di come affrontare le varie realtà di questo Paese, nel mettere in comune le nostre preoccupazioni. Con i Vescovi ho avuto un dialogo fraterno. La Nunziatura ha sempre accolto tutti, anche i rappresentanti politici di diverse tendenze. Ho sempre ascoltato tutti, con serietà, con attenzione, poiché c’è sempre una parte di verità nelle affermazioni di ciascun interlocutore. Come ho conciliato la diplomazia con il lato umano? La spiegazione sta in quello che é stato il volere del Papa. Il servizio diplomatico ha una espressione esterna, mentre la parte umana sta, naturalmente, nel cuore di ciascuno di noi. Oggi non si concepisce più l’Opera della Chiesa come la si concepiva cinquanta anni fa: oggi un governo non può prescindere dalle realtà sociali di milioni di persone che vivono la fame, le ingiustizie. Il Papa chiede di non chiudere gli occhi alla realtà. Ed é per questo che si va verso un importante rinnovamento. Il nostro é l’andare verso l’abbraccio di tutti, come faceva Gesù, sceso dal suo paesino nascosto nel nord della Galilea. Seguendo l’esempio di Gesù e degli ultimi Pontefici, siamo coscienti di adoperarci con comprensione e solidarietà verso ciascun essere umano. Qui in Venezuela sono uscito molto spesso, dalla Nunziatura Apostolica per incontrare i nostri fratelli. Ho ascoltato tutti con attenzione e ciò mi ha arrecato grande allegria ed immensa soddisfazione. Sono stato tra le popolazioni indigene del Delta Amacuro; nel Táchira; nella frontiera con la Colombia. Ho visto necessità e sorrisi, ho ricevuto abbracci sinceri e testimonianze di simpatia. In fondo, io sono nato per fare il prete, non avevo mai pensato di fare il diplomatico e ciò mi é accaduto dopo aver fatto tre anni di lavoro pastorale.


– Come giudica l’intolleranza dell’Italia verso i clandestini che sbarcano sulle nostre coste?


– L’intolleranza é un tema complesso da trattare. Le istanze della Chiesa si sono espresse salvaguardando i diritti umani. Certamente dobbiamo conciliare l’accoglienza degli stranieri e l’esigenza d’umanità verso chi vive condizioni di vita disumane, garantendo che questo processo di conciliazione si faccia nel rispetto delle parti chiamate in causa. Non é facile, comunque dare una risposta chiara per chi, come me, vive da molti anni fuori d’Italia. Certo, non bisogna mai dimenticare che l’Italia é stato un Paese d’emigrazione.


– Come ha percepito la presenza della nostra Collettività in Venezuela? Cosa si porta con se di questa esperienza venezolana?


– Sono stati quattro anni d’intensa esperienza. Parto per il Belgio sereno, contento, con la soddisfazione d’aver trovato fin dal mio arrivo in Venezuela un popolo pieno di vita con un cuore grande. Della nostra Comunitá italiana, posso affermare che da Carupano, a Cumaná, da Barcelona a Maturín a Maracay, Valencia, Acarigua, Merida, Trujillo e, naturalmente Caracas, ho avuto modo di conoscere la vita di tantissimi connazionali. Ho ascoltato le loro storie d’emigranti giunti in questo Paese negli anni ’50 e ’60, orgogliosi del lavoro svolto, dei loro figli nati in questa terra e per i quali desiderano un avvenire sereno. Parto dal Venezuela rivolgendo proprio a tutti questi nostri connazionali un saluto speciale d’affetto, di stima, di riconoscimento per la loro grande opera svolta creando sviluppo, crescita in un atteggiamento di cultura e rispetto per il Paese che li ha ricevuti. Personalmente ho sempre apprezzato questo modo d’affermare la nostra presenza nelle terre d’accoglienza.