Pd, alla ricerca della sua identità


ROMA – Giorgio Napolitano ha ottenuto con la sua lettera al governo e ai presidenti delle Camere un primo risultato concreto a dispetto dei venti di guerra che continuano a spirare tra maggioranza e opposizione: un riconoscimento bipartisan del suo passo, irrituale ma – come dice Gianfranco Fini – politicamente incisivo.


Per una volta, l’analisi del presidente della Camera coincide con quella del premier: Silvio Berlusconi ribadisce infatti che il governo terrà conto delle preoccupazioni del capo dello Stato in tema di sicurezza e soprattutto sottolinea come il passo del Colle non abbia compromesso il suo ottimo rapporto personale con Napolitano.


“Ci diciamo tutto”, spiega il Cavaliere con una implicita allusione al clima di cordialità che si è respirato al G8 e che spera si possa prolungare sul palcoscenico italiano.


Anche ministri e capigruppo assicurano che la lettera del capo dello Stato non cadrà nel dimenticatoio: se ne terrà conto in sede di decreti attuativi del pacchetto sicurezza, come del resto lascia intendere lo stesso Roberto Maroni. Ne deriva che la moral suasion di Napolitano sembra aver colto uno spiraglio che potrebbe aprire la strada a un dialogo più ampio tra i due poli, per esempio sul terreno delle riforme istituzionali. Percorso certamente difficile ma non impossibile: se ne potrà capire qualcosa in più la settimana prossima quando i capigruppo del Senato dovranno decidere se mettere in discussione la mozione del Pd in cui si attaccano i comportamenti personali del premier: se slitterà tutto all’autunno, si tratterà di un segnale di disgelo, altrimenti si potrebbe assistere a una recrudescenza di polemiche (il Pdl potrebbe presentare a sua volta una mozione sulla “questione morale” del Pd sollevata da Ignazio Marino). Del resto insistere negli attacchi personali al Cavaliere si é rivelata finora un’arma a doppio taglio: l’Economist, per esempio, ha ammesso di aver sbagliato tutte le previsioni sulla riuscita del vertice G8 e sulle capacità di sopravvivenza del premier. Non solo il summit si è rivelato un successo, ma anche la ricostruzione in Abruzzo procede con una velocità sorprendente e costituisce una voce positiva dell’agenda di governo: spiegarlo con la fortuna o con l’assistenza dell’angelo custode, come fa il giornale britannico, sembra quantomeno riduttivo.


In realtà, con l’ultimo G8 si è aperta una fase nuova e Napolitano se ne rende perfettamente conto: la popolarità del Cavaliere resta molto alta e per l’opposizione scavare trincee e tendere trabocchetti non porta da nessuna parte. Non a caso in vista del congresso del Pd Dario Franceschini e Pier Luigi Bersani sono alla ricerca di una nuova identità per il partito che travalichi l’antiberlusconismo: le sconfitte inanellate fin dalla nascita impongono una revisione profonda della strategia alla base della nascita del nuovo soggetto politico. Bersani guarda all’Ulivo, che in passato ha sconfitto per due volte Berlusconi, e pensa di riaprirne il cantiere se vincerà la corsa alla segreteria: a suo avviso è il concetto stesso di vocazione maggioritaria ad aver fallito. I suoi cardini sono il recupero dei delusi di sinistra e un rapporto forte con l’Udc per gettare la basi di una vasta coalizione che possa effettivamente battere il centrodestra. Franceschini, che oggi ha presentato il suo programma, ritiene che tutto ciò rappresenterebbe un passo indietro e in ultima analisi un ritorno al “centro-sinistra col trattino” cioé a un’alleanza tra Ds e Margherita sotto nuove spoglie. Il segretario difende invece la filosofia alla base della nascita del Pd cioé una commistione profonda tra le antiche tradizioni che finora agli elettori ha trasmesso solo “sensazioni indistinte” quando invece si tratta di dare vita a una nuova identità. Perciò Franceschini difende le primarie quale meccanismo chiave per aprire il partito delle tessere agli elettori esterni (che non sono “estranei”, dice in contrapposizione con una parola usata da D’Alema), boccia il sistema elettorale tedesco (che rimanda la scelta delle coalizioni a dopo il voto) e apre al “partito del Nord” cioé a un federalismo interno che consenta di non perdere il contatto con le realtà territoriali. Il suo discorso è stato ascoltato con interesse da Sergio Chiamparino e Ignazio Marino due degli uomini in grado di spostare gli equilibri del congresso.


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