Suu Kyi, l’ONU rinvia. Stop da Russia, Cina, Libia e Vietnam


NEW YORK – Le durissime reazioni internazionali alla condanna del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, tra cui quella italiana espressa dal ministro Frattini, non si sono tradotte in un’azione rapida del Consiglio di Sicurezza. Convocato in seduta straordinaria, l’organismo dell’Onu non ha trovato un accordo per redigere un documento critico nei confronti della giunta militare birmana, rinviando la decisione. Determinanti i dubbi di Russia, Cina, Vietnam e Libia sulla proposta avanzata degli Stati Uniti. Il britannico John Sawers, presidente di turno del Consiglio di sicurezza, ha spiegato che alcune delegazioni hanno spedito la bozza ai loro Paesi per poter discutere meglio del documento.


La rappresentante Usa presso l’Onu, Susan Rice, ha spiegato che Washington propone una dichiarazione da parte dei 15 membri del Consiglio che condanni la Birmania per avere deciso di prolungare gli arresti della leader dell’opposizione. Già in passato Cina, partner commerciale della Birmania, e Russia hanno bloccato tale misura. Pechino ha detto che “la comunità internazionale deve rispettare la sovranità della giustizia birmana”.


Nei giorni passati numerosi leader hanno espresso la loro critica all’ennesima condanna di Suu Kyi. Obama si è unito alle richieste dell’Unione Europea e dell’Onu per una liberazione “immediata e senza condizioni”. La presidenza di turno svedese dell’Ue ha annunciato che si stanno studiando misure restrittive nei confronti degli interessi economici del governo di Rangoon, che “saranno alleggerite o inasprite a seconda degli sviluppi” della situazione. L’Ue “intensificherà il lavoro con la comunità internazionale, specialmente con i suoi partner in Asia, per ottenere il rilascio di Suu Kyi e degli altri prigionieri”.


L’Italia si associa alla ferma condanna per un processo definito “ingiusto”. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha parlato di “una gravissima lesione ai principi della democrazia” e ha appoggiato la proposta di “rafforzamento delle sanzioni” contro il governo asiatico. Secondo Piero Fassino, inviato speciale Ue per la Birmania, la giunta militare “è imbarazzata” dalla sentenza e “bisogna agire a tutto campo per la liberazione degli oltre duemila prigionieri politici e ottenere un dialogo tra regime e opposizione”.


Parole di condanna anche dall’amministrazione Obama. Per il segretario di Stato Hillary Clinton, Suu Kyi “non avrebbe mai dovuto essere né processata né condannata”. L’ex first lady chiede la liberazione dei prigionieri politici, come lo statunitense John Yettaw: “Siamo preoccupati per la durezza della sua condanna, specialmente alla luce delle sue condizioni di salute”.


Di “nuove sanzioni contro il regime birmano” parla pure Nicolas Sarkozy. Secondo il presidente francese, restrizioni riguardanti legname e pietre preziose. Il primo ministro britannico Gordon Brown si è detto “costernato e in collera”. E ha sottolineato che le elezioni previste per l’anno prossimo non avrebbero “credibilità e legittimità” senza Suu Kyi, definita “speranza” del Paese. Il capo del governo di Londra annuncia che scriverà a tutti i membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu per chiedere che venga imposto un embargo globale alla vendita di armi al regime birmano.


Il governo della Malesia ha indetto una riunione straordinaria dell’Asean, associazione dei Paesi del Sud-est asiatico.


Quattordici premi Nobel per la pace hanno chiesto un’inchiesta sui “crimini contro l’umanità” in Birmania. “E’ fondamentale – scrivono – che il regime risponda dei suoi crimini e che la sua brutalità sia oggetto di un’inchiesta”. A loro parere, Suu Kyi (nobel nel 1991) è stata condannata “sulla base di accuse inventate”. Tra i firmatari, Mikhail Gorbaciov e il Dalai Lama.


Per Amnesty International la sentenza contro Aung San Suu Kyi “è vergognosa”. La segretaria generale dell’organizzazione, Irene Khan, ritiene “una mascherata politica e giudiziaria” sia l’arresto che il processo alla dissidente.