Scopritore cura anticancro: “Tornare in Italia? Se cambia la politica sulla ricerca”


MILANO – “Tornare in patria? Potremmo pensarci solo se l’Italia decidesse di cambiare in maniera radicale la propria politica in materia di ricerca e università”. Antonio Iavarone, cervello ‘tricolore’ fuggito 10 anni fa negli Usa insieme alla moglie e collega Anna Lasorella, non nasconde il suo pessimismo riguardo al futuro della scienza made in Italy: “Il nostro Paese è molto restio ai cambiamenti”, riflette lo studioso in forze al Columbia University Medical Center di New York, interpellato da Adnkronos dopo l’ultimo successo ‘di coppia’ pubblicato su ‘Developmental Cell’, uno studio che apre a speranze nella terapia dei tumori cerebrali e nell’impianto di staminali.


Emigrati oltreoceano dal Policlinico Gemelli di Roma, dopo avere denunciato a gran voce un caso di nepotismo ai loro danni, oggi Iavarone e Lasorella non vogliono sentir parlare di “rivincita”. “I nostri studi sono di per sé i nostri veri obiettivi, e quindi il nostro è un interesse esclusivamente di tipo medico e scientifico”. In altre parole, la storia a lieto fine dei due scienziati coraggiosi “non penso servirà a modificare nulla” dei meccanismi che regolano la ricerca nazionale, perché “purtroppo il sistema italiano è molto restio a cambiare”, ripete.


“Spero che cambiamenti importanti ci siano – aggiunge Iavarone – ma le indicazioni che ci sono state fin da quando mi occupo di medicina e di ricerca sono che l’Italia è molto restia a cambiare”.


In fondo basterebbe poco, osserva. Si potrebbe fare “semplicemente quello che fanno tutti gli altri Paesi”, continua lo studioso, così da eliminare “tutte quelle tradizioni nefaste presenti in modo così diffuso in Italia”.


Secondo lo scienziato, la soluzione “sarebbe quella di creare una serie di centri di ricerca di visibilità mondiale, con grossi sforzi economici e organizzativi. Strutture che – evidenzia – fin dall’inizio venissero popolate e gestite da scienziati, italiani e non, che si siano formati all’estero e abbiano competenze molto visibili e riconoscibili”. Cervelli davvero liberi e indipendenti, “che possano permettere all’Italia di competere per la prima volta nel mondo internazionale”.