Oliver Stone. “Il mio Chávez è un eroe del Sud America”

 

LOS ANGELES – “Spero che in Italia questo dannato lavoro venga apprezzato e magari faccia venir voglia di vederlo anche agli americani”.


Oliver Stone torna a far parlare di sé. Lo fa con “South of the border”, un documentario su Hugo Chávez che sarà presentato a Venezia il 7 settembre. Da buon provocatore qual’è, Stone scatenerà ancora una volta l’opinione pubblica con un’opera sul presidente venezuelano più controverso, eroe “bolivariano” per alcuni, demagogo con tendenze dittatoriali per altri.


Il regista statunitense, 62 anni, torna su quello che lui chiama il “cortile ignorato” del Nord America, ossia l’America Centrale e del Sud. Stone, infatti, diede il ciak a “Salvador” del 1986, che puntava il dito sul ruolo della Cia nella dittatura militare e a “Comandante”, il documentario nato dopo l’incontro a Cuba con Fidel Castro. A quest’ultimo seguì nel 2004 “Looking for Fidel”, in cui rivedeva alcune posizioni troppo indulgenti nei confronti del leader cubano.


“South of the border”, 74 minuti, debutterà alla presenza del regista, in concorso alla Mostra di Venezia.


Girato in economia e montato a Topanga Canyon dall’italiana Elisa Bonora – che aveva già lavorato su altri documentari di Stone – il film attende l’esito di Venezia per ottenere una distribuzione in sala. In Italia ha già un distributore, la Mikado, che si occuperà anche di “Capitalism”, del collega Michael Moore.


“Il Nord America tratta il Sud come in Italia i settentrionali trattano i meridionali, non è vero?” esordisce Stone ai microfoni di Repubblica, che l’ha intervistato in esclusiva.


Il regista racconta al quotidiano di aver pensato all’opera nel 2007, quando si recò “in Venezuela al tempo della liberazione della Betancourt grazie, si dice, all’intervento di Chavez”.


Agli occhi di Stone il presidente venezolano, che ha intervistato lo scorso gennaio, è “molto amato dal popolo e non privo di fascino. E’ un seguace di Bolivar, sogna un’America Latina unita e liberata, di liberare tutto il mondo. E’ stato in prigione varie volte, è sopravvissuto a un golpe e sono sicuro che non si è mai riempito le tasche con la politica. Insomma, dopo averlo conosciuto mi riesce difficile etichettarlo come il “nemico pubblico n.1″. C’ è ben di peggio – prosegue – di cui gli Usa dovrebbero preoccuparsi”.


Stone dichiara che nel documentario ha cercato di essere “più leggero rispetto a ‘Comandante’, c’è dentro della musica, del folklore. Non vuole essere – dice – una cronaca dell’ ascesa al potere di Chavez. Piuttosto una sorta di tour guidato in una regione che i nordamericani conoscono poco ma di cui parlano tanto, e a vanvera”.


“La prima cosa che si capisce – racconta il regista – è che non bisogna dar ascolto a tutto quello che su di lui ci propinano media e tv. Ho intervistato sette presidenti sudamericani, tra cui Evo Morales. Dicono tutti che, come Chavez, anche loro ambiscono a esercitare pieno controllo sulle risorse nazionali, vogliono rafforzare i loro legami regionali, essere trattati alla pari dagli Usa e soprattutto diventare finanziariamente indipendenti dal FMI”.


Rispetto alle critiche fatte a Chavez dall’opposizione, Stone crede che sia “quello che leggiamo sui giornali americani e non necessariamente la verità. Chavez ha favorito i media più di qualsiasi altro leader in Venezuela, dove i media erano privati, con l’eccezione di un paio di canali tv governativi.


Molti in Venezuela – racconta – gli hanno dato contro per aver nazionalizzato l’industria del petrolio e i media invocavano un colpo di stato contro di lui. Chavez li ha lasciati fare, e loro due mesi dopo hanno proclamato uno sciopero petrolifero contro di lui. E’ sopravvissuto allo sciopero, devastante, e hanno continuato ad attaccarlo. Negli Usa, come in Italia – prosegue – non permetterebbero ai media di invocare un colpo di stato, nessun paese lo permetterebbe, nessuna democrazia.


Nel film cerchiamo di stabilire la verità di ciò che succede, cosa c’è di positivo nel governo Chavez. Cosa di cui i media USA non vogliono sapere nulla”.


Il regista racconta che tutti i leader da lui intervistati sono a favore del presidente venezolano e ricorda “quello che Reagan ha fatto in Nicaragua e in Salvador” e la Colombia, “dove la gente che chiede riforme viene ammazzata ogni giorno”.


“Chavez – afferma – non fa queste cose. In Venezuela non è stata uccisa una sola persona di destra”.


Riguardo alla situazione attuale del Venezuela, che ammette di non aver tastato di persona, il regista afferma: “Ho analizzato i dati della crescita economica che non lasciano dubbi sulla salute dell’economia venezuelana. Ma agli USA non piace sentire queste cose perché vogliono continuare a prestar soldi e stritolare i mercati esteri coi tassi d’interesse”.