Scozia, libero il terrorista di Lockerbie


WASHINGTON – Prima il portavoce della casa Bianca, Robert Gibbs, poi lo stesso presidente Usa Barack Obama. La sostanza non cambia: gli Stati Uniti “si dispiacciono profondamente” per la decisione delle autorità scozzesi di rilasciare Abdelbaset Ali Mohamed al-Megrahi, il libico responsabile della strage di Lockerbie, rilasciato dalle autorità scozzesi perché malato terminale di cancro. “Megrahi – ha detto Gibbs – era stato arrestato e condannato all’ergastolo per il ruolo avuto nell’attentato al volo Pan Am 103, che esplose sopra la Scozia il 21 dicembre del 1988. Come abbiamo più volte ribadito al governo britannico ed alle autorità scozzesi, continuiamo a credere che Megrahi dovrebbe scontare la pena in Scozia”. Una liberazione che Obama definisce “un errore”.


L’attentato costò la vita a 270 persone; 189 erano cittadini americani. “In questo giorno – ha aggiunto Gibbs – estendiamo la nostra più profonda vicinanza alle famiglie che ogni giorno rivivono la perdita dei loro cari, e siamo consapevoli che il peso di una tale perdita resta per tutta la vita”.


Megrahi, 57 anni, condannato nel 2001 all’ergastolo per aver organizzato l’attentato di Lockerbie, è stato liberato oggi a seguito di un gesto di clemenza delle autorità britanniche, in considerazione del suo stato di malato terminale per un cancro alla prostata che lo ha colpito durante la permanenza in carcere. Ha lasciato il carcere di Greenock, nell’ovest della Scozia, a bordo di un furgone bianco della polizia penitenziaria, scortato da auto delle forze dell’ordine tra le urla dei passanti, diretto all’aeroporto di Glasgow, dove un jet libico lo aspettava per riportarlo in patria. Nel corso del processo Megrahi si è sempre proclamato innocente, invocando Dio come testimone.


Nei giorni scorsi, più volte il segretario di Stato americano Hillary Clinton era intervenuto presso le autorità britanniche e scozzesi chiedendo che al-Megrahi restasse in carcere. Il ministro della giustizia scozzese, Kenny Mac Askill, ha ribadito però le proprie ragioni: “Megrahi adesso deve confrontarsi con una sentenza imposta da un potere più alto. E’ una sentenza terminale, finale e irrevocabile. Sta per morire”.


Infatti, secondo il parere dei medici, l’uomo avrebbe davanti a sé al massimo tre mesi di vita. “Il nostro sistema giudiziario – ha detto ancora il ministro – chiede che sia fatta giustizia, ma anche che la compassione sia possibile, e che la clemenza venga accordata”.