Il Premier dice no alla nascita di un’opposizione interna al Pdl

ROMA – La telefonata di Silvio Berlusconi a Gianfranco Fini per un incontro chiarificatore era nell’ordine delle cose: il premier non ha nessun interesse alla crescita di un dissenso che minaccia di trasformarsi nella nascita di un’opposizione interna del Pdl.


Il fatto che il presidente della Camera abbia convenuto sulla necessità di un faccia a faccia il prima possibile dimostra la volontà, secondo l’entourage del Cavaliere, di risolvere i problemi politici e di non acuirli. Ma lascia inalterate le distanze dal momento che Fini fa sapere di non avere nessuna intenzione di circoscrivere il tutto a un “fraintendimento”, soprattutto dopo mesi di polemiche più o meno indirette.


Sarebbe “riduttivo”, dice.


Il braccio di ferro non è da sottovalutare: non si tratta forse di una “guerra civile” – come scrive il Times – ma certo riguarda la concezione stessa del Partito della liberta, la possibilità – spiegano i finiani – che il confronto sia libero, non condizionato dal capo, con luoghi nei quali esprimersi. In altre parole sotto esame è il concetto del partito personale che si identifica totalmente nel suo leader: con le dichiarazioni in controtendenza su immigrazione, bioetica, informazione l’ex presidente di An ha coperto quell’area più laica del centrodestra che è minoranza ma ha un suo peso e chiede di essere ascoltata.


Berlusconi non sottovaluta la questione e infatti fa sapere che il partito “non è una caserma” e che sui temi etici c’è piena libertà.


In vista di elezioni regionali importanti per il futuro del governo, nelle quali è strategico conquistare anche l’appoggio dell’Udc (il cui elettorato, commenta Paolo Bonaiuti, è sostanzialmente di centrodestra), il premier non puo’ permettersi un clamoroso strappo con l’uomo che incarna sensibilità diverse ma comunque vitali: qualunque offerta di alleanza all’Udc rischierebbe di suonare assai poco credibile se nel Pdl non c’è diritto di dissenso.


Fini del resto ha dimostrato di essere meno isolato di quanto si illudessero gli ex forzisti e poi garantisce alla maggioranza un importante canale di dialogo con il Quirinale. Difficile pensare che tutto si possa concludere con una stretta di mano di facciata. L’impressione è che si stia assistendo all’apertura di una nuova fase politica che sarà condizionata dall’esito delle trattative con Pier Ferdinando Casini, dal congresso del Pd e dalle regionali 2010. Se l’opposizione appare per ora troppo debole per tentare una qualsiasi spallata all’esecutivo, soprattutto senza la sponda dei centristi, cio’ non significa che non sia cominciata nella maggioranza una riflessione sulle prospettive del “berlusconismo” e della legislatura: in altri termini sulla successione al Cavaliere.


È un tema che Berlusconi ha sempre evitato, rifiutandosi di investire un “delfino” e insistendo sulla propria insostituibile funzione di uomo-cerniera con la Lega (Bossi ha più volte detto che il premier è l’unico a poter garantire il Carroccio). Anche adesso Berlusconi sembra considerare del tutto prematuro un dibattito di questo tipo e punta sui risultati del governo: ad Atreju, la festa dei giovani del Pdl, ha enumerato i successi nella lotta alla mafia, nella politica estera, nella ricostruzione dopo-terremoto (tutte le nuove case saranno consegnate entro fine anno, certamente un fatto di rilievo), nel fronteggiare la crisi economica. “Cambieremo l’Italia nei prossimi quattro anni”, ha assicurato a una platea entusiasta dettando implicitamente l’agenda della legislatura. Resta la differenza di toni e di sensibilità con Fini, il suo vero e unico alter ego nel centrodestra, l’uomo sospettato dal Giornale di manovre politiche anomale per scalare il Quirinale: ridurre le sue posizioni politiche a manovre strumentali potrebbe rivelarsi un errore perchè Fini incarna ormai, anche secondo gli avversari e la grande stampa internazionale, il modello di una destra moderna ed europea.


Che questi riconoscimenti costituiscano per Fini motivo d’imbarazzo è tutto da dimostrare e, al contrario, lo trasformano nell’uomo del dialogo: caratteristica politicamente decisiva in un momento in cui viceversa Berlusconi è accusato dall’opposizione di fomentare il conflitto.