Italiani arrestati: per Emergency è sequestro

KABUL – Emergency si mobilita per chiedere la liberazione dei tre operatori italiani arrestati sabato in Afghanistan con l’accusa di aver partecipato a un complotto per uccidere il governatore della provincia di Helmand, Goulab Mangal. “A questo punto – ha dichiarato il responsabile comunicazione di Emergency, Maso Notarianni – possiamo parlare a tutti gli effetti di sequestro, dal momento che i tempi di un fermo legale sono scaduti. Sono scadute le 72 ore di fermo senza che vi sia stato un fermo restrittivo o qualsiasi altra comunicazione e non ci risultano notifiche a nessuna procura afgana”.
“Ora – continua Notarianni – mi sembra lecito esigere la liberazione del nostro personale e chiediamo che il governo si attivi in questo senso. Ci prepariamo per una mobilitazione nazionale per sabato prossimo a Roma. Il nostro appello sul sito sta riscuotendo un successo clamoroso, da ieri sera continuiamo a registrare oltre 1.500 accessi contemporanei ogni minuto”.
“Spero in una svolta rapida delle indagini – ha dichiarato Cecilia Strada – noi di Emergency chiediamo il rispetto della legge e della Costituzione da parte delle autorità afghane”.
Le accuse di Emergency che parla di sequestro dei suoi volontari “hanno il sapore di una polemica politica. Sono frasi che non aiutano innanzitutto i nostri connazionali. Se cominciamo a parlare di sequestro trasformiamo in una vicenda politica quella che è una investigazione alle prime battute, che vogliamo seguire garantendo i pieni diritti dei nostri connazionali”, replica il ministro degli Esteri Franco Frattini, che mercoledì riferirà in Parlamento sulla vicenda.
Cauto invece il governo afghano che ha smentito le indiscrezioni apparse sul ‘Times’ relative a una presunta confessione dei tre operatori. “I tre uomini sono stati arrestati nel corso di un’operazione congiunta” ha detto il portavoce del ministero dell’Interno Zamarai Bashary, limitandosi a sottolineare che “adesso sono in corso gli interrogatori. Stiamo cercando di capire come queste armi siano arrivate lì”.
Dal canto suo il ministro degli Esteri ha sottolineato: “Mi sembra che ci sia stata una notizia erronea data da un giornale e non una marcia indietro degli afghani. Gli afghani hanno detto di non aver mai collegato gli italiani ai terroristi”. “C’è un giornale – ha aggiunto il ministro da Tirana – che lo aveva dato per scontato si tratta di un caso di cattiva informazione resa all’intero mondo.”.
Intanto, il portavoce del governatorato di Helmand, Daoud Ahmadi, in un’intervista ribadisce che “pistole, giubotti esplosivi, radio e altro equipaggiamento sono stati trovati in un magazzino dell’ospedale di Emergency supervisionato indirettamente dagli italiani”. Sabato, riferendo dell’arresto dei nove, era stato lo stesso Ahmadi ad accennare a sospetti “contatti” tra il gruppo e “la leadership dei Talebani”, da cui i tre italiani e i sei afghani coinvolti, aveva precisato, sono sospettati di aver ricevuto 500mila dollari.
E’ stata invece smentita, dai diretti interessati, l’ipotesi che i tre operatori abbiano legami con i talebani. “Perché mai dovremmo pagare 500mila dollari a un ‘farangi’ (straniero) quando abbiamo centinaia di persone pronte per il ‘fidayin’ (attacco suicida)?”, si è chiesto Abdul Khaliq Akhund, comandante talebano locale, in un’intervista. Akhund proviene dal distretto di Nawzad, nell’Helmand, ed è stato comandante dei talebani nei distretti di Nawzad e Musa Qala. “Sull’ospedale di Emergency non abbiamo alcuna opinione, né positiva né negativa – ha affermato – Ci sono molte organizzazioni che lavorano sul posto, a prescindere dall’agenda delle forze di occupazione. La Croce Rossa e l’ospedale di Emergency sono solo alcune di queste”, ha sottolineato il comandante Akhund, precisando che “i talebani rispettano il loro lavoro”. “Il comandante dei credenti, il mullah Omar, apprezza il lavoro della Croce Rossa. Questo significa forse che i talebani sono in collusione con la Croce Rossa?”, ha aggiunto Akhund.
Sulla vicenda al momento nessuna iniziativa è stata presa dalla Procura di Roma. La questione è all’esame del procuratore aggiunto Pietro Saviotti che dirige il pool antiterrorismo della capitale il quale si è incontrato oggi con i carabinieri del Ros per fare un primo punto della situazione. L’ufficio del pubblico ministero della capitale è pronto ad aprire un fascicolo nel caso che le accuse mosse ai tre fermati risultino fondate o, come afferma Gino Strada, si tratti di una operazione di guerra preventiva.