L’Aquila, un anno dopo

Dopo lo shock, dopo aver contato i morti, si è pensato alla ricostruzione. Era giusto, doveroso ridare un tetto a tutti coloro che, da un momento allaltro, avevano perso una casa, un passato, le cose di sempre. Non entriamo nel merito del tipo di case, nè al loro costo, ai materiali e così via… Sono temi polemici che oggi non ci interessa affrontare. Ci preme, invece, toccare altri aspetti. Era importante, dicevamo, costruire alloggi. Così sono nati i Moduli Abitativi Provvisori. Le “casette”, le chiamano gli aquilani. Sono state pensate come una soluzione temporale, ma oggi si corre il rischio che essa diventi permanente. C’è già chi chiede di acquistarle. Ma intanto la città è scomparsa, non esiste. Le macerie sono ancora lì.
Non siamo esperti in urbanistica, ma la storia insegna che i centri abitati per esistere hanno bisogno di luoghi dove si socializza: un mercato, una chiesa, una piazza. Per i “Map” non è stato così. E’ per questo che quando si apre l’uscio di quelle casette e si scende in strada ci si ritrova soli. A piedi non c’è dove andare. Se non prendi l’auto, e il traffico infernale scoraggia chi non deve farlo per necessità, è meglio restare a casa a leggere un libro, a vedere la televisione, ad abbandonarsi ai ricordi.
Chi ha vissuto all’Aquila sa bene che era sufficiente uscire di casa, fare quattro passi a piedi per incontrare tutti, amici, parenti, conoscenti. La vita di un paesetto, di una cittadina ma anche di una metropoli è fatta di abitudini, di luoghi. E’ l’identità che un luogo, un modo di essere, crea in ognuno di noi. E questa identità, per l’aquilano, era necessariamente legata al Corso, ai “Quattro Cantoni”, a via Paganica o via Garibaldi, ai portici, ai giardini del Castello. Gli adolescenti, prima del terremoto, si ritrovavano nelle edicole della stupenda scalinata di San Bernardino. In quelle “nicchiette”, come le hanno ribattezzate, sono nate tante storie d’amore; quanti vi hanno strappato il loro primo bacio furtivo. I “Quattro Cantoni”, o le colonne dei portici, erano fino a qualche mese fa il luogo tradizionale di appuntamenti. Poi c’erano le “coppiette” nascoste all’ombra dei pini dei giardini del Castello. Oggi, tutto questo non esiste più.
Le famiglie sono state sradicate dai loro luoghi e portate nel nulla. Per 36.250 aquilani, un terzo circa della popolazione della città, continua l’emergenza. Vivono da sfollati, lungo la costa. Per loro la vita è ancor più tragica.
I giovani, oggi, si ritrovano al bar dell’Aquilone, il Centro Commerciale che ha resistito alla violenza del sisma. Loro, abituati ad uscire soli ed a camminare per i vicoli medievali intrisi di storia, sono costretti ad adeguarsi ad altri orari, ad altre esigenze. La loro vita, ora, è legata ad un auto: quella dei genitori che li portano e li riprendono. Raggiungere a piedi il centro commerciale è impossibile. Sì, ancora oggi si ride, si scherza, ci si diverte. Ma è diverso. Nei volti dei giovani sono inconfondibili i segni della delusione, della tristezza. Insomma, il desiderio di tornare al prima, alla vita che il terremoto ha strappato loro.
E’ vero, e di questo tutti dobbiamo prendere atto, la ricostruzione dell’Aquila non sarà facile. D’altronde più che ricostruire sarà necessario restaurare; riscattare quello che fino a ieri era uno degli angoli di storia artistica ed architettonica più importante d’Italia. Ma bisogna cominciare e subito. Dopo aver “messo in sicurezza” gli edifici pericolanti ed anche quelli che ormai sono solo macerie, è necessario ripartire. Dare un tetto agli aquilani era indispensabile. L’estate, in quello spicchio d’Abruzzo, dura quindici giorni, tutt’al più un mese. Il freddo comincia già dopo la prima pioggia dopo il ferragosto. Ora, però, gli aquilani rivogliono la loro città.
La “Protesta delle carriole”, al di là del significato politico che ognuno vorrà dargli, è un atto di fede e di orgoglio. Gli aquilani non vogliono una “new-town”, esigono che gli sia riconsegnata la loro città, con i suoi vicoli, le sue piazze, le sue strade. Reclamano la loro identità intimamente legata a quei luoghi; una identità fatta di abitudini, di ricordi, di rumori, di profumi. Vogliono che la loro vita torni ad avere un senso. Quello del “Popolo delle carriole” non è un’azione politica, ma un gesto spontaneo nato dalla solidarietà.
Il “Coraggio della Speranza”, l’esposizione fotografica itinerante fortemente voluta da Abruzzo24Tv, dalla neonata Associazione Nazionale dei Giornalisti Italo-venezolani e dal nostro Giornale, non vuole essere un grido di dolore ma un messaggio di ottimismo. Quelle immagini strazianti “girate” pochi minuti dopo il sisma dal coraggioso cameraman di Abruzzo24.tv ci colpiscono nel nostro intimo. Quegli “scatti”, realizzati con professionale freddezza ed intrisi di una profonda sensibilità umana e grande commozione, sono la testimonianza di una tragedia che è proibito dimenticare perchè da essa deve rinascere la vita. E’ questo il messaggio intrinseco, la chiave di lettura della mostra fotografica. L’Aquila, e gli aquilani, non si arrendono.