Fini pensa a un gruppo autonomo Berlusconi: “Lasci la presidenza”

ROMA – Due ore di faccia a faccia che non sono bastate per dissipare le tensioni tra i due. Anzi: si sono lasciati con freddezza. Il colloquio, si racconta, è stato franco e interlocutorio. Qualcuno parla di ‘tregua armata’, ma c’è chi dice che si sia addirittura sfiorata la rottura. “Come sempre capita in questi casi, la verità sta in mezzo” dice chi ha avuto modo di sentire il Cavaliere.

Il numero uno di Montecitorio avrebbe consegnato un messaggio molto chiaro, che va ripetendo da tempo dopo le regionali: non ci si può appiattire sulla Lega, perché così si indebolisce il Pdl che deve rimanere forza trainante del centrodestra e non può farsi dettare l’agenda dal Carroccio.
Una posizione subordinata nei confronti del Senatur sarebbe un danno anche per lo stesso Berlusconi. Anche oggi Bossi, proprio mentre era in corso il colloquio tra i cofondatori del Popolo della libertà, ha ribadito che il suo partito vuole contare nei salotti buoni della finanza nordista e rivendica a sé gli assessori all’agricoltura in Veneto e Piemonte, a maggior ragione dopo aver dato il via libera a Giancarlo Galan al ministero delle Politiche agricole.

I finiani assicurano che non c’è da parte del presidente della Camera nessuna intenzione di forzare, ma la volontà di far valere fino in fondo le proprie ragioni per un maggior equilibrio interno. Intanto sarebbe già stato scelto un nome per il gruppo autonomo a cui pensa Gianfranco Fini e che potrebbe nascere tra 48 ore: ‘Pdl Italia’. Fini avrebbe chiesto un’assemblea del partito da convocare in tempi brevissimi. Una riunione in cui ridiscutere il patto formativo, ridisegnare gli equilibri interni, perché il partito torni a essere centrale, risolvendo i nodi più spinosi, tra i quali quello della Sicilia e delle riforme istituzionali.
Secondo l’analisi del presidente della Camera sarebbe stata proprio l’impossibilità a procedere su riforme fondamentali ad aver fatto perdere consensi al Pdl, a favore della Lega. Fini avrebbe dunque chiesto al premier un luogo in cui discutere di riforme, che si potrebbe concretizzare in una cabina di regia o in un intergruppo in cui gli uomini di Fini possano avere un ruolo di primo piano. In assenza di questa prospettiva l’unica soluzione resta il gruppo autonomo, strumento attraverso il quale i finiani manterrebbero visibilità e autonomia senza mettere per questo in discussione né l’esistenza del Pdl, né la maggioranza di Governo.
Il numero uno di Montecitorio è stato chiaro: nessuna delega in bianco a favore dell’asse Berlusconi-Bossi. Così il Cavaliere, riferiscono fonti della maggioranza, si sarebbe preso 48 ore per riflettere. Quanto al nodo delle riforme, Fini avrebbe ribadito la sua preferenza per il modello presidenzialista francese a doppio turno elettorale. Dopo il faccia a faccia, il presidente della Camera ha incontrato alcuni degli esponenti del Pdl a lui pù vicini, da Italo Bocchino al vicecapogruppo Carmelo Briguglio. E ancora: il viceministro e segretario generale di FareFuturo Adolfo Urso e il sottosegretario all’Ambiente Roberto Menia e poi Giulia Bongiorno, Flavia Perina, Enzo Raisi.

L’ultimatum, raccontano fonti della maggioranza, non sarebbe piaciuto a Berlusconi. Di fronte alla minaccia di un gruppo autonomo, Fini dovrebbe interrogarsi sul suo ruolo di presidente della Camera: sarebbe questo il pensiero del premier. Già nei mesi scorsi le voci di ‘scissioni’ avevano fatto storcere il naso al Cavaliere. E il faccia a faccia di oggi non ha aiutato il clima. Da qui il ragionamento del presidente del Consiglio: non capisco Gianfranco, se vuole fare i gruppi autonomi, ci pensi bene, perché dovrebbe lasciare la presidenza della Camera.

In una dichiarazione ufficiale, poi, Fini ha spiegato che il premier deve restare a palazzo Chigi per tutta la legislatura. “Il Pdl, che ho contribuito a fondare – rimarca Fini – è lo strumento essenziale perché ci avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito”. “Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto ciò presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell’intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise.“Ho rappresentato tutto ciò al presidente Berlusconi. Ora egli ha il diritto di esaminare la situazione ed io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni”, ha concluso.
Ma i Gruppi parlamentari autonomi composti da deputati e senatori vicini al presidente della Camera “potrebbero essere questioni successive in presenza di risposte negative rispetto alle questioni politiche poste” ha sottolineato in serata Italo Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera, spiegando che al momento “i parlamentari vicini a Fini sono consapevoli che serve un coordinamento per rafforzare il Popolo della libertà”. In ogni caso è fuori discussione “la lealtà a Governo e maggioranza”.

Intanto, secondo quanto si legge in una dichiarazione congiunta dei coordinatori del Pdl, Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini, al termine del vertice a Palazzo Grazioli con il premier Berlusconi, “le recenti elezioni regionali e amministrative hanno riconfermato la validità politica della decisione di dar vita al Pdl, un traguardo storico irreversibile. Gli italiani, dimostrando anche in questa occasione maturità e intelligenza, hanno premiato l’azione del governo e creato le migliori condizioni per proseguire sulla strada delle riforme che abbiamo intrapreso”. Così, “da queste inoppugnabili considerazioni nasce la nostra profonda amarezza per l’atteggiamento di Gianfranco Fini che appare sempre più incomprensibile rispetto ad un progetto politico comune per il quale abbiamo lavorato concordemente in questi ultimi anni, un progetto di importanza storica che gode di un consenso maggioritario nel popolo italiano”.

E’ il presidente del Senato Renato Schifani a tentare di porre un argine alla complessa giornata: “Quando una maggioranza si divide – invita a riflettere – non resta che dare la parola agli elettori”. Ma i finiani Bocchino e Ronchi replicano secchi: si vota solo quando non esiste più una maggioranza che sostiene il governo. E questo non è.