Due ruote e il continente americano: l’impresa di Antonio a difesa dei bambini

CARACAS – Una bicicletta da corsa e un messaggio contro lo sfruttamento minorile e la violenza sulle donne. Questo il bagaglio del 31enne Antonio Tomaselli, partito il 25 aprile di due anni fa da Ancholage, in Alaska, con in mente la titanica impresa di percorrere su due ruote l’intero continente americano, sino alla Patagonia.
– Vivevo in India da un anno e mezzo – racconta il siciliano, oggi a Caracas -. Ero volontario in un centro per lebbrosi di Maria Teresa di Calcutta e gestivo alcune attività per i bambini di strada. Per tre notti di fila ho sognato di fare questo viaggio e, alla fine, ho deciso di partire.

Antonio, curriculum in aereonautica, arriva in America dopo un lungo allenamento sulle strade di Italia, Francia, Spagna, e lungo il famoso ‘Camino di Santiago’. Alaska, Canada, la West Coast: attraversa rapido gli Stati Uniti “perchè lì la maggior parte dei problemi sono legati al mondo del benessere” e scende veloce in America centrale, “dove le problematiche sono di un’altra natura: eredità di dittature passate e conseguenza di governi sfruttatori”. Inizia a rallentare il ritmo per conoscere il paesaggio umano, quelle “difficoltà di cui, come occidentale, sono in parte responsabile”.

L’America centrale

Antonio attraversa Messico, Guatemala, Belize, El Salvador, Costa Rica. E ancora Panamà, Nicaragua, l’Honduras post – golpe. Lungo la strada collabora con le comunità indigene, nei centri per nativi disabili, nelle unità educative per emarginati. Insegna teatro ai bambini indigeni del Chiapas, aiuta a portare l’acqua in una zona difficile del Nicaragua, concretizza quella “politica del rimboccarsi le maniche” di cui ribadisce la vitale importanza, ma sempre attento a non alimentare un meccanismo di ‘dipendenza’ tra chi ha e chi non ha. Organizza piccole conferenze sul tema dello sfruttamento minorile (nel mondo ne è vittima un bambino su 5, in Nepal il 100 per cento dei minori) e quando possibile mostre fotografiche con i suoi scatti.
– Non mostro l’estremo che commuove: fame, povertà. Mi piace la bellezza che si trova in un paesaggio, nel sorriso di un bambino, negli sforzi dei centri di volontariato dove sono stato.
Le porte, per lui, sono sempre aperte e la gente è bendisposta ad offrirgli un piatto caldo. Antonio ricorda con particolare affetto la coppia che lo ha ospitato in Guatemala: lei responsabile per i diritti umani dei nativi nel paese che detiene il record di indigeni uccisi, lui ex membro di un gruppo di contadini che gestiva le informazioni tra la ‘guerrilla’ e il governo.
– Dell’associazione di cui faceva parte il marito – racconta – sono stati uccisi 19 membri su 21. Ma lui, con la moglie, continua la sua lotta attraverso il nucleo educativo. A parte questi piccoli paradisi, il governo non agisce e gli indigeni vivono incoscienti la loro condizione di emarginati.

La situazione non cambia nel resto dell’America centrale. Il Trattato di pace del 1998 è una carta irrispettata e ai governi fa comodo l’ignoranza della comunità indigena, che non ha voce, non ha diritti politici e sociali, alla quale non è garantita nè l’educazione nè la sanità.
– La cosa più grave – spiega alla ‘Voce’ Antonio – è che non c’è via d’uscita per chi vuole migliorare la sua condizione. Se nelle città c’è quelche chanches, fuori, per loro, non esiste la libertà di scegliere la propria vita”.

I grandi poteri

Gli indigeni non sono completamente ignorati dal ‘sistema’, ma comprati e raggirati da una serie di messaggi inquinanti che, per mancanza di coscienza, non vengono elaborati.
– La situazione è contraddittoria. La storica cittadina messicana di San Cristobal – cita ad esempio Antonio – ha venduto la sua ultima risorsa d’acqua alla Coca Cola che ora, in regime di monopolio, rivende le bottiglie a prezzi altissimi. Però il Messico è il paese in cui si beve più Coca Cola al mondo, e all’interno del Messico è lo stesso Chiapas a consumare la maggior quantità di bibita.

Alle ingiustizie delle grandi multinazionali non rispondono adeguatamente le organizzazioni internazionali, null’altro che “la facciata di un grande business”.
– Sono un fallimento. Hanno enormi interessi economici e non garantiscono il controllo che dovrebbero esercitare. Ad esempio, in Cambogia, ora hanno assunto una compagnia per disinnescare le migliaia di mine antiuomo che attanagliano il territorio. Peccato – continua – che la ditta incaricata è la stessa che le ha disseminate per tutto il paese.
I grandi poteri non restano estranei neppure per quanto riguarda il mercato della droga e dei migranti. Antonio ha disegnato una sua personale ‘piramide gerarchica’:
– In testa ci sono i grandi governi. Stati Uniti, Messico, Colombia: tutti hanno enormi entrate e posizionano gli alti dirigenti nei porti, nelle zone di frontiera. Poi ci sono i narcotrafficanti, spesso poliziotti, ed infine, in fondo, i ‘pandilleros’.
Istituzioni viziate, dunque. Avanza chi ha istruzione e furbizia per perseguire i propri interessi, scendere a compromessi, vendere idee e comprarne altre. Ideologie mescolate alla realtà, che fanno del sandinismo moderno come del Fondo monetario Internazionale null’altro che galline dalle uova d’oro. Quindi, cosa resta di pulito?
– C’è ancora chi ci crede, chi ha coscienza, interesse sociale. Rispetto verso l’essere umano – ci dice convinto Antonio -. La soluzione per ‘cambiare il mondo’ è l’unione di tutte queste persone, di tutti questi gruppi, che come i governi sfruttatori devono saper ‘fare sistema’. Adesso ci sono ancora troppe lotte: Greenpeace che si arrabbia perchè gli hanno rubato il patrocinio, i Verdi se la prendono con quelli che proteggono l’Amazzonia perchè sono apolitici…
Provo a lasciare una piccola scintilla dentro il cuore di ognuna delle persone che incontro, se poi il fuoco appica dipende dalla materia che ognuno ha dentro quindi dalle scelte che ognuno liberamente deve poter fare… Per lo meno – dice – contribuisco a fornire piccoli strumenti per crescere, secondo la mia personale veduta della vita.

Il Venezuela

Maicao, Maracaibo, Coro, Tucacas, Valencia, Caracas. “Rispetto agli altri paesi dove sono stato, il Venezuela vive nell’oro” afferma sicuro Antonio. In America centrale, racconta, “si guadagna un quinto del necessario per vivere, in Costa Rica e Panama comandano i grandi latifondisti, sopprattutto per quanto riguarda la coltivazione delle banane, in Colombia agli emarginati non vengono date possibilità di riscatto o di lavoro. In Venezuela, quelli che si lamentano lo fanno solo perchè vogliono ancora di più”.


Antonio è abbagliato dal calore umano e dall’accoglienza dei volti che incontra in questa nostra terra. “Un contatto sociale unico” dice, anche nella Casa di riposo Villa Pompei, dove è ospitato per qualche giorno, e ha ritrovato un po’ della vecchia Italia e ha incontrato le “donne antiche che discutevano su quale pastasciutta da preparare al prete”. E rispetto al tasso di criminalità di cui ha tanto sentito parlare, crede che spesso si confonda la povertà con la violenza.
– In Asia ci sono molte più persone e molta più povertà: manca l’acqua, il cibo. Esistono brutalità ed ingiustizie, ma non c’è questo tipo di violenza rabbiosa che si respira nel mondo occidentale. Forse questo è dovuto alla spiritualità, al ‘karma’ che ti fa accettare tutto ciò che arriva nella vita. O forse questa violenza contro chi incontri per strada è solo frutto di un bombardamento di messaggi sbagliati. L’informazione deformata di una società deformata. Se credi che devi per forza avere un blackberry, quando i soldi non ti basteranno lo ruberai senza pensarci due volte…