Quasi un’eco della ‘solidarietà nazionale’ degli anni ‘70

ROMA – Umberto Bossi l’ha interpretata come un tentativo di allargare la maggioranza ai centristi e l’ha stroncata subito: a suo giudizio Pier Ferdinando Casini al governo ha combinato solo disastri ed è politicamente inutile quanto Fini. La reazione del capo della Lega, tuttavia, dimostra come l’ idea, sebbene smentita dalla stessa Udc, non sia del tutto campata in aria.

Sandro Bondi infatti rimprovera a Pier Luigi Bersani di rincorrere governi tecnici che sono una pura astrazione, ma aggiunge che in momenti come questi l’opposizione dovrebbe pensare a un’assunzione di responsabilità nazionale. Che significa? Casini è stato il primo a lanciare qualche giorno fa la formula del governo di salute pubblica e oggi Rocco Buttiglione ha spiegato che l’Udc sarebbe disponibile a sostenere un governo d’emergenza se si dovesse rivelare necessario: un esecutivo il cui scopo non sarebbe quello di detronizzare Berlusconi, ma di fronteggiare una fase economica in cui tutti sarebbero chiamati a fare la propria parte.

Segnali che si sommano alla convinzione di Savino Pezzotta che sia necessario un “nuovo rapporto” tra maggioranza e opposizione per affrontare la crisi e all’assicurazione di Francesco Rutelli che i centristi dell’Api non faranno barricate se il governo si muoverà con accortezza. Lo stesso Massimo D’Alema, pur convinto della debolezza di questo esecutivo, invita il Pd a “prendersi le sue responsabilità”.

Quasi un’eco della “solidarietà nazionale” di fine anni Settanta. Ecco perchè la scelta del successore di Scajola è uno snodo cruciale. Il premier aveva pensato in primo momento a una soluzione di continuità e puntato sul nome di Paolo Romani: adesso però le quotazioni del viceministro appaiono in ribasso. Un tecnico, magari gradito all’area centrista, offrirebbe al Cavaliere maggiori possibilità di dialogo e di intese con i centristi e forse con l’ala più moderata dei democratici.

Molto dipenderà da Tremonti e da Bossi. Il ministro dell’Economia finora non ha scoperto davvero le sue carte. La manovra correttiva da 27 miliardi dovrebbe vedere la luce a fine mese e contenere con ogni probabilità misure di carattere strutturale perchè stavolta non si tratta di rispettare i vincoli Ue ma di convincere i mercati a sostenere l’acquisto dei titoli pubblici italiani. Difficilmente gli investitori si farebbero attirare da una miriade di misure-tampone quali quelle ipotizzate in questi giorni.

Di qui la convinzione che si è fatta strada in Berlusconi della necessità di un pubblico appello che spieghi all’opinione pubblica la drammaticità del momento e la necessità di dare vita a una vera svolta economica, con l’apporto di tutte le forze politiche: sulla scia, del resto, di quanto sta avvenendo in tutta Europa.

La delicatezza della scommessa è nel difficile equilibrio che si dovrà rispettare tra i programmi di austerità e la difesa della crescita. Il paradosso è infatti questo: nel mondo globale non si può spendere più di quanto si produce, ma non si può nemmeno risparmiare fino a comprimere il tenore di vita e quindi lo sviluppo economico, pena la condanna da parte dei mercati. Il ministro dell’Economia studia una serie di provvedimenti adeguati e la Lega lo sosterrà comunque nella logica dell’asse del Nord. Bossi chiede solo che nel frattempo il cammino dei decreti attuativi del federalismo, corretti anche in base alle richieste dell’opposizione, prosegua senza intralci.

Sarà la manovra di Tremonti o quella dell’asse del Nord Berlusconi-Bossi? Su questo interrogativo si decidono i prossimi mesi. È come se tutto si fosse rimesso improvvisamente in gioco e nel nuovo scenario tutti hanno una carta da giocare: da Tremonti a Bossi, da Fini a Casini, da Bersani a Di Pietro. L’opinione pubblica sarà il vero arbitro di questa partita.