Manovra, una terapia d’urto per scongiurare il rischio «Grecia»

ROMA – Rispondono, con ogni probabilità, alla pressante richiesta dell’opposizione perchè in qualche modo palazzo Chigi ‘’metta la faccia’’ sui tagli preannunciati della spesa pubblica. C’è stata infatti una improvvisa e significativa accelerazione della crisi europea: la decisione della Germania di varare una manovra-choc da dieci miliardi all’anno fino al 2016, per ricondurre in pareggio il proprio bilancio, obbliga in qualche modo tutti i partner a seguirne subito l’esempio, pena la bocciatura dei mercati e il naufragio dell’euro.


Tuttavia perchè la manovra abbia successo sono necessarie tre condizioni, quelle sottolineate dal capo dello Stato nella sua visita a Washington: equità dei sacrifici, coordinamento europeo e, soprattutto, appoggio da parte dell’opposizione. La Cei, per bocca del cardinale Angelo Bagnasco, ne aggiunge una quarta non meno importante: tutela della famiglia e del lavoro per i giovani.


Non è difficile capire che si tratta quasi della quadratura del cerchio. Non a caso Giulio Tremonti, pressato dal premier e dalla maggioranza perchè la manovra sia il più possibile ‘’condivisa’’, ha resistito alla tentazione di rinviarla di qualche giorno per ascoltare le conclusioni del vertice Ocse di metà settimana: troppo forte il rischio che le norme finiscano nelle sabbie mobili delle contraddizioni della maggioranza e delle pressioni corporative delle categorie.


La stessa Lega sembra avere accettato il decisionismo del ministro dell’ Economia: abbandonato l’antico euroscetticismo, appoggia i tagli strutturali e si consola con la certezza che non ci saranno nuove tasse.
In realtà il pacchetto Tremonti è suscettibile di variazioni fino all’ultimo momento, anche perchè non avrebbe senso illustrarlo alla Consulta Pdl e alle parti sociali prima della presentazione in Consiglio dei ministri; si rincorrono in particolare voci sul possibile, ennesimo condono edilizio, sull’ entità dei tagli agli stipendi di parlamentari, manager, dipendenti statali, ma ciò che conta dopotutto è il segnale che si vuole trasmettere ai mercati. E se si tratterà di un segnale forte, capace di rintuzzare gli assalti della speculazione contro l’Italia (obiettivo cruciale del governo), si potrà dire solo a manovra completata.


er il momento l’opposizione sembra freddina. Pier Luigi Bersani rimprovera all’esecutivo di aver negato e sottovalutato troppo a lungo la crisi: si tratta della stessa opinione espressa da Luca di Montezemolo. Quanto alle misure in cantiere, il Pd pensa che si tratti del solito ‘’pasticcio’’ che non risolverà i problemi strutturali della finanza pubblica italiana. Non è una posizione dura quanto quella dell’estrema sinistra (Ferrero parla di ‘’olio di ricino’’ per i lavoratori) ma nemmeno conciliante, ed è difficile dire se si tradurrà in Parlamento in una linea più morbida come quella sollecitata da Pier Ferdinando Casini secondo il quale la manovra va appoggiata non per fare un favore al centrodestra ma per il Paese.

Per i centristi si tratta un pò della prova generale della politica di unità nazionale caldeggiata dal loro leader: il momento di emergenza, secondo l’Udc, impone un ripensamento della classica partita bipolare maggioranza-opposizione, in linea con quanto si sta verificando in tutta Europa per fronteggiare l’attacco all’euro. Bisogna vedere se qualche riflesso di questo spirito unitario si riverberà anche sulla contestatissima legge sulle intercettazioni. Qualche apertura dal centrodestra è venuta e, secondo Bonaiuti, un’intesa si può trovare. Bersani ha fatto sapere di non fidarsi: il testo giungerà in aula al Senato in versione ‘’aperta’’, ma secondo il Pd le norme vanno corrette prima dell’arrivo in aula, altrimenti si tratterà solo di una finta disponibilità.


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