Fini non accetta pressioni, prima la manovra poi le intercettazioni

ROMA – Il presidente della Camera intende garantire il rispetto del regolamento e non vuole apparire come il notaio di un accordo già ratificato: del resto a suo avviso non c’è nessuna fretta, non c’è un nemico da combattere, ma piuttosto si può favorire un ulteriore approfondimento del confronto. Anche perchè, è il ragionamento del capo della destra, il varo della manovra economica è prioritario alla luce della crisi in atto. Naturalmente, come spiega il finiano Italo Bocchino, ciò non significa porre un aut-aut e rimettere in discussione tutto: alla resa dei conti, la componente dell’ex leader di An sarebbe pronta a votare il testo del Senato. Si tratta piuttosto di marcare una linea, di avvertire che si sta varcando un confine pericoloso: quello di un rischio incostituzionalità del provvedimento che potrebbe indurre il Quirinale a rispedire il testo alle Camere.

Nel centrodestra c’è tuttavia chi non digerisce questo ruolo di coscienza critica: Osvaldo Napoli, per esempio, attacca la tattica di raggiungere accordi in Parlamento e poi di criticarli sulla stampa e Roberto Calderoli dice a Fini che i tempi della manovra saranno stabiliti dal Senato che la esaminerà per primo.

In realtà l’obiettivo principale del presidente della Camera sembra quello di conquistare uno spazio politico definitivo nel Pdl. Le richieste avanzate dai suoi sulla manovra economica ne sono la dimostrazione. Baldassarri e Bocchino chiedono maggiori misure per lo sviluppo e giudicano fondato il sospetto che 25 miliardi non siano sufficienti: tra un anno si potrebbe essere costretti a intervenire nuovamente con altri tagli. Questa analisi secondo la maggioranza del Pdl è stranamente simile a quella del Pd: una linea greco-spagnola, la definisce Fabrizio Cicchitto, che pretende di puntare sulla crescita ignorando il deficit statale. Sono parole che lasciano intendere la difficoltà dell’imminente trattativa per migliorare la Finanziaria senza toccarne i saldi: ma è su questo terreno che i finiani si apprestano a giocare la propria partita.

In questo senso, la sponda venuta meno al Pd dopo l’accordo sottoscritto da Fini con Berlusconi sulle intercettazioni, potrebbe tornare d’attualitàù: non a caso Pier Luigi Bersani ha annunciato un pacchetto di emendamenti per riproporre le liberalizzazioni della terza ‘’lenzuolata’’ (rimaste sulla carta a causa della fine della legislatura) e ha chiesto alla maggioranza di impegnarsi in un negoziato vero. L’attenzione che Fini riserva alla possibilità di un confronto più pacato sulle intercettazioni, magari con i tempi chiesti dal Pd, è la spia del suo lavoro diplomatico per scongiurare il muro contro muro su tutti i temi in discussione, in linea con la strategia del Colle. Fini auspica perciò riforme condivise sui temi del lavoro, depreca le rigide contrapposizioni che si determinano nel nostro Paese praticamente ad ogni occasione. Si vedrà se questi spazi esistono davvero.


Ma intanto l’Italia dei Valori continua nella sua opposizione frontale al governo e chiede al presidente della Camera di dimostrarsi coerente con le sue dichiarazioni: coerenza che, accusa Luigi de Magistris, finora non c’è stata. La polemica riguarda tutta la riforma della giustizia, non solo le intercettazioni, l’ipotizzata separazione delle carriere, l’istituzione di due Csm. Temi sui quali peraltro anche l’opposizione è divisa: Nicola Latorre fa sapere che la separazione per il Pd è inopportuna, ma non è un tabù. Emma Bonino ricorda che la posizione dei radicali è assai diversa e più aperta alle ipotesi che vengono dal centrodestra.


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