La figlia di un desaparecido al Papa: “No all’indulto in Cile”

Maria Paz Venturelli, figlia del desaparecido di origini modenesi Omar Venturelli, ha rivolto una lettera aperta
al Papa Benedetto XVI, che ha presentato anche agli emiliano romagnoli nel mondo, spiegando i motivi
per cui ha intrapreso la sua azione.

“Da marzo – scrive Maria Paz Venturelli, -la Chiesa cattolica cilena,
nella ricorrenza del bicentenario dell’indipendenza del Paese, ha chiesto un indulto anche per chi si è macchiato durante gli anni della dittatura Pinochet di crimini di lesa umanità. I familiari dei caduti e dei torturati in Cile hanno indirizzato nei giorni scorsi una lettera al cardinale di Santiago Javier Arrazuriz per esprimere tutta la loro contrarietà. Visto il processo che si sta celebrando a Roma, per la scomparsa di mio papà, ho diretto questa rogatoria al Santo Padre che è stata presentata in un’iniziativa alla Provincia di Roma lo scorso 17 giugno”.

Nella lettera inviata al Santo Padre, Maria Paz spiega che “dall’età di due anni ho perso mio padre, desaparecido nell’ottobre del 1973 dal carcere di Temuco in Cile. Mio papà, Omar Venturelli, era professore di Pedagogia all’Università Cattolica di quella città e la sua fede cristiana lo aveva portato a difendere le condizioni di vita miserabili dei contadini Mapuche. Da bambina, durante il nostro esilio in Italia, ascoltavamo le canzoni della poeta e cantautrice Violeta Parra, anima bellissima capace di trasformare in musica il Cile stesso. C’era una canzone che recitava “…che dirà il Santo Padre, che vive a Roma, nel vedere che stanno sgozzando le sue colombe?” il ritornello era accattivante e rimaneva facilmente a mente. Da bambina non capivo la portata e l’importanza che le Sue parole, Santo Padre, hanno sulla vita di tanti uomini e tante donne, anche in Cile, un paese così lontano da Roma”.

Maria Paz spiega nella lettera che “sin dal mese di marzo, con un solenne Te deum, l’arcivescovo di Santiago Cardinale Francisco Javier Errazuriz e altri vescovi, hanno chiesto al governo cileno un ‘indulto giubilare’ in occasione dei festeggiamenti dei duecento anni dalla nascita della Repubblica del Cile, firmata il 18 settembre 1810. Questi prelati ritengono che questa richiesta, che grazierebbe molti detenuti e, fra questi, anche quei pochissimi che sono stati condannati per crimini contro l’umanità compiuti durante gli anni della sanguinosa dittatura di Pinochet, costituisca un passo importante verso la riconciliazione del Paese. Santo Padre, penso che in Cile ci siano tante colombe, sono quelle donne e quegli uomini che sono sopravvissuti a quegli anni orribili, che hanno ricostruito le proprie vite con amore e che piangono il proprio padre, il figlio, i figli, la madre, il fratello portando fiori su una tomba, oppure, per i più sfortunati, come me, senza nemmeno avere le ossa dei propri cari desaparecidos. Queste colombe attendono con ansia la pace che solo la riconciliazione può dare. Aspettiamo con ansia il reale pentimento e la vera ispirazione al perdono dei carnefici per uscire dall’incubo che hanno costruito. Abbiamo bisogno della verità, per poter riconoscere la nostra storia e versare le nostre lacrime sui corpi che ci hanno nascosto. Abbiamo bisogno della giustizia per vivere una democrazia forte e prospera. Può la chiesa cilena straziarsi in un gesto che frantumerà tutto questo? E’ davvero così lontano il Cile? La mia rogatoria si rivolge a Lei, Santo Padre, perché si costruisca insieme ai familiari delle vittime la duratura pace e la vera riconciliazione. Se l’indulto giubilare grazierà i carnefici di tanti, significherà che la festa per il bicentenario della democrazia in Cile, sarà una macabra festa per tutti coloro che hanno subito violenza e non hanno ancora ottenuto giustizia, anche a Roma. Lo dico perchè nell’aula in cui si celebra il processo per la scomparsa di mio padre, presenzia come imputato un accusato, Alfonso Podlech, che non mostra alcun segno di ravvedimento o pentimento, ma coglie ogni occasione per confermare lo spirito arrogante e non riconciliato di chi è stato oppressore e ritiene di aver fatto il giusto”.