Fini apre una nuova polemica con il ‘’suo’’ Pdl

ROMA – Secondo il presidente della commissione Antimafia, negli anni delle stragi a cavallo tra il 1992 e il 1993 ci fu qualcosa di molto simile a una trattativa tra Stato e mafia, un groviglio oscuro di criminalità, mondo degli affari e istituzioni deviate che giunse a un soffio dalla destabilizzazione del sistema democratico. E ancora oggi le cosche non avrebbero rinunciato a tentare di condizionare la politica. Pisanu è stato ministro dell’Interno ed è esponente di primo piano del partito di maggioranza relativa: la sua relazione giunge il giorno dopo la sentenza di condanna in appello di Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa e conferma che a distanza di tanti anni il capitolo dei rapporti tra politica e Cosa nostra è ancora tutto da scrivere.

Non ha torto il procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso nel rilevare che nei processi ci vogliono le prove, tuttavia per la prima volta Pisanu argomenta in modo convincente l’esistenza di una trattativa e ciò significa, osserva il finiano Fabio Granata, che la questione certamente non può essere spedita in archivio – come pure si o tentato di fare – con il pretesto che ormai sono passati i decenni. In altre parole la coincidenza temporale tra la relazione di Pisanu e la condanna di Dell’Utri riapre vecchie ferite nel centrodestra.

I finiani, in particolare, si schierano con l’opposizione nel criticare la difesa che il senatore Dell’Utri ha compiuto di Vittorio Mangano, lo ‘’stalliere di Arcore’’, definito un eroe, mentre invece – sostengono per esempio Granata e Briguglio – fu solo un ‘’sanguinario capomafia’’. L’analisi del presidente dell’Antimafia è accolta positivamente da entrambi i poli ma con sfumature diverse: per Gasparri e Quagliariello smonta il teorema della nascita di Forza Italia come movimento colluso con la mafia e apre una serie di interrogativi sugli uomini del centrosinistra che all’ epoca coprivano posizioni di responsabilità; per Veltroni e Latorre squarcia l’oscurità e costituisce un passo avanti nell’individuazione dei rapporti tra istituzioni deviate, servizi segreti e una certa politica locale. Ma a ben vedere la battaglia si accende soprattutto all’interno del centrodestra dove Fini e i suoi sembrano decisi a non fare sconti sul terreno della giustizia. Come osserva Enrico Letta, infatti, è perlomeno irrituale che il presidente dela Camera si spinga a definire irragionevole l’insistenza della maggioranza nel chiedere la calendarizzazione della riforma delle intercettazioni: in questo modo, Fini sa bene di aprire una nuova polemica con il ‘’suo’’ Pdl e mostra di voler giocare una partita in proprio. Non a caso, Fabrizio Cicchitto lo invita a separare il ruolo di presidente di Montecitorio da quello di leader della minoranza interna per l’immagine che viene trasmessa all’elettorato moderato e per il clima di tensione che ne deriva: ma il fatto è che gli uomini del premier non hanno nessun mezzo per impedire a Fini questa doppia partita e nemmeno per ostacolarne il rapporto privilegiato con il Colle (che costituirà il vero leit-motiv dei prossimi mesi).

Dunque il braccio di ferro con il Cavaliere promette nuove scintille: il leader della destra fa capire di non essere preoccupato dei numeri interni perchè il problema è tutto politico. Il negoziato con l’opposizione sulla riforma della giustizia non può prescindere dal suo apporto e nemmeno dall’ opinione del Quirinale. La forzatura sulle intercettazioni doveva servire a dimostrare che Berlusconi non si fa dettare l’agenda e i tempi da nessuno ma dal momento che il testo dovrà essere modificato (Grasso, l’Anm e il presidente dell’ Authority per la privacy ne hanno sottolineato le numerose criticità) l’accelerazione è passata per una ‘’impuntatura’’ del premier. L’attacco dei finiani a Dell’Utri, l’uomo che è considerato il suo migliore amico, è un fatto da non sottovalutare per la radicale diversità delle rispettive visioni sui rapporti tra mafia e politica, tema potenzialmente esplosivo. Ciò spiega il clima di nervosismo che continua a serpeggiare nel centrodestra, alle prese anche con il caso Brancher.

Contro il neoministro Pd ed Idv hanno presentato una mozione di sfiducia e si preparano a bombardare il governo con un’ interrogazione al giorno per conoscerne le deleghe. Ma certo la sua assenza alla conferenza stampa che ha fatto seguito al Consiglio dei ministri dedicato ai costi del federalismo è apparsa un segno di isolamento. I due protagonisti indiscussi, Tremonti e Bossi, hanno parlato di una pagina chiave e di pace fatta con le Regioni. L’asse del Nord sembra scavalcare i problemi interni del Pdl.


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