La Spagna spinge l’Europa, risale anche l’euro

MILANO – Importante l’aiuto di Wall Street, che ha riaperto solida dopo le festività legate all’Indipendence day, ma per una volta i listini del Vecchio continente hanno guardato soprattutto in casa propria.


L’attenzione è stata rivolta soprattutto al mega-collocamento di titoli spagnoli a dieci anni, che ha trovato una risposta positiva da parte degli investitori, anche grazie all’alto rendimento garantito. Poca reazione al fatto che tali tassi d’interesse (circa 195 punti base sopra il ‘midswap’) abbia portato al rialzo i rendimenti di tutti i titoli di Stato europei: le Borse avevano voglia di rimbalzo e rimbalzo è stato. Non a caso è stata Madrid (+3,59%) la piazza azionaria più in salute tra le principali d’Europa, con il titolo del Banco Santander (+6,06%) più pronto di tutti a sfruttare il clima positivo sul debito pubblico spagnolo. Molto bene anche Abertis (+5,68%), ancora sulle ipotesi di riassetto nella struttura azionaria.


Le Borse europee si sono quindi disinteressate al risultato deludente di giugno dell’indice Ism dei servizi Usa e anche Atene, in attesa di quello che potrebbe essere un caldo sciopero generale, è salita sugli stessi livelli di Madrid: +3,66% per l’indice generale, +4,30% per quello dei titoli più importanti. E forse non è un caso: anche la Grecia, nonostante il mega-prestito Fmi-Ue, si starebbe preparando a tornare sul mercato dei titoli di Stato con una piccola emissione, probabilmente martedì prossimo, per verificare periodicamente l’accoglienza del mercato dopo i piani di risanamento.


Bene anche le altre piazze azionarie europee, tutte con rialzi finali superiori ai due punti percentuali e Milano (+2,70%) ben spinta dalle banche. In questo contesto anche l’euro ha potuto proseguire nel suo recupero: la moneta unica europea è infatti tornata per lunghi tratti sopra la quota psicologica di 1,26 sul dollaro, per concludere nelle quotazioni di riferimento della Bce a 1,257 dollari. Sono i livelli migliori dell’ultimo mese e mezzo ottenuti, secondo gli operatori del mercato valutario, anche grazie a una progressiva uscita di liquidità dai mercati in dollari. Segno che non si crede poi tanto a un’immediata ripresa dell’economia statunitense.