Cina, stretta anti-corruzione

La Cina ha lanciato l’ennesima campagna contro la corruzione nell’amministrazione pubblica, rafforzando
con nuove misure una legge del 2006. In base al nuovo regolamento, in vigore da ieri, i funzionari statali dovranno dichiarare tutti i loro redditi, le proprietà immobiliari e gli investimenti loro, delle mogli e dei figli anche nel caso risiedano all’estero. Lo annuncia la stampa cinese.

Il punto focale delle nuove regole, secondo gli esperti, è il tentativo di rendere impossibile ai funzionari registrare proprietà e conti in banca a parenti, una pratica diffusa in Cina. Il regolamento, varato contemporaneamente dal consiglio di Stato (il governo) e dal comitato centrale del Partito Comunista, si applica a tutti i funzionari di livello superiore
a quello di ‘contea’, il penultimo in ordine di importanza nell’organizzazione amministrativa del paese, che lavorano nei governi locali ma anche nelle imprese statali, nelle istituzioni pubbliche e nei partiti ‘democratici’ i piccoli partiti satelliti del Partito Comunista nel cosiddetto “fronte unito” che di fatto agiscono sotto la supervisione dello stesso Partito Comunista.

Le pene previste per chi non rispetterà il regolamento sono di carattere amministrativo e la più grave è il licenziamento. In precedenza, la pena più grave prevista per chi non fornisce le informazioni nei tempi richiesti era una sessione di “critica informata”. Il regolamento non prevede che le informazioni ottenute con le dichiarazioni dei funzionari siano rese pubbliche.

La corruzione dei pubblici ufficiali è stata definita dal presidente Hu Jintao, che è anche il segretario generale del Partito Comunista, un problema “di vita o di morte” per il Partito stesso. Le numerose campagne lanciate in passato dal governo centrale si sono rivelate inutili, e casi di corruzione continuano ad essere denunciati dai giornali e, sopratutto, dai blog su Internet.

In un caso di lotta alla corruzione che ha suscitato clamore, la
scorsa settimana a Chongqing è stato messo a morte Wen Qiang, ex-vice capo della polizia e capo dell’ ufficio giudiziario del governo della metropoli. Wen èstato ritenuto colpevole di complicità con le organizzazioni mafiose locali, dalle quali avrebbe ricevuto 12milioni di yuan (circa 1,4 milioni di euro) in tangenti per favorire le loro attività illegali.

Secondo Minxin Pei, un esperto di legisalzione cinese, esistono più di 1.200 leggi, direttive e regolamenti contro la corruzione, ma la loro applicazione si è rivelata inefficace ad eliminare il fenomeno. Alcuni dei “grandi processi” per corruzione – come quello che è costato una condanna a 18 anni di reclusione all’ ex-capo del Partito Comunista Chen Yangyu – sono determinati dalla lotta politica tra le diverse fazioni comuniste. Chen era considerato infatti un fedelissimo dell’ ex-presidente Jiang Zemin ed un avversario politico dell’ attuale leader cinese Hu Jintao.