Alta tensione nel Pdl per il compromesso sul ddl

ROMA – Dall’altro, il presidente della Camera non solo esulta per le modifiche apportate al testo sugli ‘ascolti’, rivendicando di fatto quei cambiamenti tanto invisi al Cavaliere, ma torna ad attaccare l’assetto da “centralismo carismatico” del partito, chiedendo la convocazione di un congresso.

Uno scontro a distanza, visto che il premier è a Milano e l’ex leader di An a Pescara. Ma i chilometri non attenuano una visione diametralmente opposta della politica e del modo di governare: distanza siderale che preannuncia nuova tempesta sul cielo già denso di nubi del Pdl.

A poco più di due settimane dal ‘ghe pensi mì’ con il quale Berlusconi aveva promesso di sbrogliare, uno ad uno, i tanti nodi stretti al colle della maggioranza, il presidente del Consiglio riconosce che le cose sono più complicate del previsto. Addossa la responsabilità dello stallo all’attuale assetto costituzionale che, di fatto, impedisce al capo dell’Esecutivo di governare.

E così la conferenza stampa di presentazione del nuovo Milan diventa un palcoscenico da cui esprimere tutta la sua amarezza. A cominciare dalle intercettazioni: il ddl, dice con tono quasi rassegnato, “lascerà la situazione per quella che è adesso: non consentirà agli italiani di parlare liberamente al telefono e non consentirà all’Italia di essere un Paese civile”. Ma il testo sugli ascolti è solo l’ultima goccia di un vaso che ormai trabocca: Berlusconi parla di democrazia “difettosa” perché “costruita con un architettura istituzionale” che non permette “l’ammodernamento del Paese”. La sua conclusione è che “il potere non appartiene più al Parlamento e dunque al popolo”, ma a “certi signori della magistratura di sinistra” che bloccano le leggi con l’aiuto di una Consulta faziosa.

Una “patologia” contro cui “cercheremo di fare qualcosa, anche se – ammette – siamo in condizioni veramente difficili”. Su quale sia il senso delle sue dichiarazioni a proposito del ddl sugli ‘ascolti’ le interpretazioni divergono nel Pdl: c’è chi vi legge una sconfessione della mediazione di Angelino Alfano e Niccolò Ghedini. Ma i fedelissimi raccontano un’altra verità: certo, il testo non lo soddisfa per nulla, ma meglio questo che niente.

Inoltre, le sue parole sono un tentativo di ‘depistaggio’. “Parlandone male contribuisce ad abbassare la tensione allo scopo di evitare nuovi ostacoli”, confida un dirigente del Pdl. Sia come sia, l’evidente delusione del premier, contrasta con la piena soddisfazione di Fini.
Il presidente della Camera rivendica di aver condotto una “battaglia giusta” grazie alla quale è “prevalso il buon senso” in linea con il dettato costituzionale. Ma l’ex leader di An non si limita al ddl e tutto quello che dice suona come un ‘controcanto’ alla linea del Cavaliere. Sulla manovra, si lamenta dell’assenza di dialettica interna al partito, pur dando “ottimo” al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.

Accenna ai “rischi” che alcune regioni correranno con il federalismo e, a proposito delle inchieste, rilancia la questione morale, chiedendo “intransigenza” contro chi si fa “gli affari propri”. Poi l’affondo sulla gestione del Pdl: dice che è tempo per un congresso che stabilisca regole democratiche per la scelta degli organigrammi e, pur negando di voler mettere in discussione la leadership di Berlusconi, di fatto lo fa dicendo che sarebbe “inaccettabile” passare dal “centralismo burocratico a quello carismatico”. Un tema, quello della successione, sul quale Berlusconi – pur con il sorriso sulle labbra – era tornato: “Ha ragione Vendola nel dire che sono vecchio e che ci vorrebbe un successore, ma finora non è saltato fuori”.

Come dire: Fini di sicuro non lo è. In questo quadro, molti nella maggioranza si chiedono cosa ci si debba attendere dopo il varo del ddl intercettazioni e della manovra: c’è chi ipotizza stravolgimenti non solo nel partito, ma anche nel governo; e chi, al contrario, scommette sul fatto che il Cavaliere toccherà il meno possibile. Nel frattempo nessuno si azzarda più a pronosticare date per un incontro fra i due leader.