Baggio-Sacchi e…Rivera Figc, un rinnovo a metà

Roberto Baggio presidente del Settore tecnico; Gianni Rivera, presidente del settore scolastico; Arrigo Sacchi, responsabile delle nazionali giovanili e coordinatore delle Under. Ci voleva il tonfo del Mondiale sudafricano, con l’eliminazione dell’Italia di Lippi già nella prima fase, perché la Federcalcio varasse una svolta epocale: per la prima volta in cabina di regia entrano non solo uomini ‘di campo’, ma veri e propri simboli.

I primi due i terreni di gioco li hanno impreziositi con una carriera degna del numero 10 che
indossavano; il terzo la storia del calcio italiano l’ha fatta dalla panchina, ma non per questo meno emozionante. Adesso però bisognerà vedere se saranno in grado di fare altrettanto dietro la scrivania. In particolare, se quella di Baggio sembra un’operazione mirata (nessuno più di Roberto può dare qualcosa dal punto di vista tecnico, senza considerare il grande ritorno di immagine a livello internazionale) e quello di Sacchi può essere considerato un ‘usato sicuro’, tutto da verificare sarà l’apporto dell’ex golden boy, uno che mai ha avuto a che fare con i giovani e con il mondo dei dilettanti, né durante i suoi trascorsi da dirigente sportivo né in politica (anche nei suoi anni da assessore allo sport a Roma poco frequenti furono i rapporti con il movimento calcistico giovanile e dilettantistico).

Ad ogni modo, con il neo ct Cesare Prandelli formano un quartetto cresciuto a ‘pane e pallone’, le basi di un azzurro che vorrebbe tornare a vincere. Baggio, Rivera e Sacchi: tre icone del calcio tricolore all’estero. La fantasia al potere, espressa da figure a loro modo controcorrente.

Il campione di Caldogno (Pallone d’Oro nel 1993) pur avendo vestito con lo stesso orgoglio le maglie di club blasonati e di provincia (o forse proprio per questo) non è mai stato accostato dai tifosi ad un colore in particolare. Gianni Rivera, il Pallone d’Oro l’ha vinto pure lui, nel 1969, primo italiano a meritarsi l’ambito trofeo. Ed anche lui ha avuto i suoi soprannomi, non tutti lusinghieri.

‘Abatino’ il più famoso di tutti, affibiatogli da Gianni Brera per il tono di voce sommesso e l’aria da seminarista degli esordi. Ma presto divenne il ‘golden boy’, uno dei più grandi numeri 10 di sempre. Rivera ha scritto molte pagine della storia del Milan. In Nazionale ebbe più fortuna di Baggio vincendo l’Europeo nel ’68, mentre nel ’70 arrivò il ko con il Brasile in Messico.

Dopo il ritiro, la vicepresidenza del Milan fino al 1986. Poi la carriera in politica con alterne vicende, con i primi passi nella Dc ed il seggio nel Parlamento europeo del 2005. Arrigo Sacchi, al contrario, del calcio giocato è stato un dilettante. Ma in tutto il resto s’è sempre applicato da professionista. Tra gli inizi nelle giovanili del Cesena ed i trionfi con il Milan che macinava Coppe dei Campioni, gli ingredienti del credo di Sacchi sono sempre gli stessi: ripartenze, pressing, squadra corta, intensità, gregari importanti come i campioni, la squadra, convivere con lo stress e …la ‘cultura della sconfitta’, perché la vittoria deve sempre accompagnarsi al bel gioco e bisogna saper accettare “che ci può essere chi ha lavorato meglio di noi”.

Nel suo albo d’oro anche la citata finale Mondiale con l’Italia: ma gli albi d’oro di Sacchi raccon-tano solo una piccola parte della storia di un tecnico che più d’ogni altro ha cambiato il calcio negli ultimi decenni. E che ora ci riprova, insieme a due talenti che al pallone hanno dato del tu.