Popoli indigeni, quel 5% del Pianeta messo in pericolo anche dalle dighe

ROMA – “I popoli indigeni sono portatori della storia culturale dell’umanità, i governi devono sostenerli e rimuovere ostacoli come razzismo, emarginazione e povertà”. Così in sintesi il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon nel messaggio per la giornata internazionale a loro dedicata, svoltasi ieri . Si stima che i popoli indigeni rappresentino il 5% degli abitanti del Pianeta, circa 370 milioni di persone sparse in 70 Paesi.

La ong Survival International ha denunciato, con un dossier, che in diverse aree dell’America Latina e di altre parti del mondo c’è un “ritorno delle grandi dighe” che sta avendo un “impatto devastante” sugli indios che vivono in queste regioni. Lo studio sottolinea “gli altissimi costi umani e ambientali dell’energia ‘pulita’ generata dai grandi impianti idroelettrici”, precisando che quella delle “enormi dighe ha ormai assunto la forma di un vero e proprio boom”.

“La sola Banca Mondiale sta sostenendo con 11 miliardi di dollari la realizzazione di 211 progetti idroelettrici in vari paesi del mondo”, si ricorda nel dossier, rilevando che in Brasile “la tribù amazzonica degli Enawene Nawe ha appreso che le autorità progettano di costruire 29 dighe sui fiumi che scorrono nelle loro terre. Nella sola Amazzonia sono cinque i popoli incontaminati che saranno colpiti dai progetti idroelettrici”. “Centinaia di indigeni brasiliani si riuniranno in settimana per protestare contro la controversa diga Belo Monte, che minaccia le terre di molte tribù e le fonti di cibo indispensabili alla loro sopravvivenza”, ricorda l’ong.

“La costruzione di dighe raggiunse il suo picco durante gli anni ‘70 quando vennero realizzate grandi dighe a un tasso di circa mille all’anno, per diversi anni consecutivi. Questo ritmo impressionante diminuì in modo significativo verso la fine degli anni ‘80 e ‘90, a causa della crescente preoccupazione per il loro impatto negativo”, conclude il rapporto, rilevando che “l’entusiasmo nei confronti di tali opere sta tuttavia riemergendo oggi, sospinto dalla lobby internazionale delle dighe impegnata con tutte le sue forze a dipingere la propria industria come una panacea al problema dei cambiamenti climatici”.