Un’autobomba esplode a Bogotà: 18 feriti

BOGOTÀ – Una autobomba è esplosa ieri nella zona nord di Bogotà ferendo almeno diciotto persone, nel primo grande attentato da quando il presidente Juan Manuel Santos è entrato in carica lo scorso fine settimana.


Un autobus danneggiato con il parabrezza infranto giace in mezzo ad uno dei viali più importanti della città, abitanti scioccati sono scesi in strada e gli investigatori stanno raccogliendo i resti dell’autobomba.
“E’ un attacco terroristico”, ha detto Santos ai giornalisti sul luogo dell’esplosione, senza dare dettagli sui presunti responsabili del gesto.


“Come in ogni attentato terroristico, vogliono seminare la paura e il dubbio tra la gente, ma non ci riusciranno”, ha detto il presidente.
Gli attentati e le esplosioni sono diminuiti bruscamente da quando l’ex presidente Alvaro Uribe ha preso il potere nel 2002, intensificando la campagna contro i ribelli di sinistra e i narcotrafficanti, appoggiato dagli Usa.


Santos ha promesso di proseguire la campagna sulla sicurezza del suo predecessore e le politiche volte a favorire gli investimenti nel paese, che hanno aiutato la nazione andina a superare i giorni bui del conflitto, quando attentati e massacri erano all’ordine del giorno sui media.
Ma sono in molti gli analisti che la vedono diversamente.


La bomba di ieri arriva il giorno dopo il plateale incontro a Santa Marta fra Santos e il suo omologo venezuelano Chavez, in cui sono state ristabilite le normali relazioni diplomatiche fra i due paesi confinanti, dopo l’ennesimo tentativo destabilizzante dell’ex presidente colombiano Alvaro Uribe. Che così ne è uscito sbugiardato in toto. Un incontro, questo, che ha segnato il primissimo passo della presidenza Santos e indicato, dunque, a chiare lettere, quali sono le priorità del suo governo.

I rapporti con i vicini, a discapito della sicurezza democratica, ovvero quella politica interna basata sulla militarizzazione del paese che ha fatto la fortuna e la gloria di Uribe e in nome della quale ha sacrificato molti rapporti diplomatici. Quasi in maniera ossessiva. E che subito è rimbalzata fra le prime parole post-attentato pronunciate da Santos.


La bomba, in piena capitale, in un centro economico e frequentato, pieno di telecamere e molto vigilato, suona molto come un ammonimento al nuovo arrivato affinché non si distanzi troppo dall’uribismo. Affinché non lo sottovaluti. Attenzione a distrarsi troppo pavoneggiandosi in incontri internazionali, perché tenere le redini della Colombia significa avere il controllo sulle tante forze occulte che la governano. Sembra facile.
E non si parla di sole Farc. Che dire dei gruppi paramilitari di destra legati al narcotraffico che da decenni spargono terrore inseguendo denaro e potere? E chi c’è sempre stato dietro a queste orde barbare e senza scrupoli braccio del terrorismo di Stato? Chi se ne è servito in ogni momento per pilotare la politica colombiana?


Di certo c’è che è ancora troppo presto per risalire alla matrice dell’attentato, ma i dubbi che non siano le solite Farc sono molti e insistenti. E questo nonostante la polizia, appena giunta sul posto, si sia già precipitata a dire che il modus operandi è tipico della guerriglia e che l’esplosivo è il medesimo usato nell’attacco a El Nogal del febbraio 2003 attribuito alle Farc. Che efficienza.