Shirin Ebadi: ”La campagna dell’Italia è stata estremamente utile”

BRUXELLES – Grazie all’Italia per la campagna condotta in favore di Sakineh, ma la condanna è stata solo sospesa e, oltre a lei, molte altre donne in Iran sono in attesa di essere lapidate. Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani, dice di “non fidarsi” del regime di Teheran ed esorta la comunita’ internazionale a non allentare la pressione sull’Iran.

“La campagna dell’Italia e’ stata estremamente utile, ma la mobilitazione deve continuare”, sostiene la Ebadi, da Bruxelles, dove ha incontrato l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune Chaterine Ashton, denuncia come “dall’Ue arrivino solo dichiarazioni su dichiarazioni: questo e’ tutto quello che fa al momento, spero che la Ashton faccia ulteriori passi” sul rispetto dei diritti umani in Iran.

Il premio Nobel per la pace -che non torna nel suo Paese dalle contestate elezioni del giugno dell’anno scorso- riconosce infine “ai popoli europei di aver fatto molto” per Sakineh e per attirare l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani in Iran, “ma i governi europei non fanno altrettanto”. “E quando si contestano gli accordi che alcune societa’ europee fanno con il regime, accordi in base ai quali viene venduto materiale per reprimere l’opposizione, ci viene risposto che si tratta di societa’ private”, conclude la Ebadi, che insiste perche’ nei negoziati con Teheran sul nucleare si sollevi anche la questione dei diritti umani.

Un appello arriva anche dal figlio di Sakineh Ashtiani, Sajjad Ghaderzadeh, che chiede ai Paesi del G8, ai governi di Turchia e Brasile e al mondo intero di continuare a fare pressioni contro la Repubblica islamica e “a non pensare che il caso si sia risolto”. “Non abbiamo alcun documento ufficiale, se la Repubblica islamica e’ sincera, dovrebbe fornire le prove” scrive Sajjad.”Noi, i figli di Sakineh Mohammadi Ashtiani – aggiunge – dichiariamo che nostra madre e’ innocente e deve essere liberata immediatamente e incondizionatamente dalla Repubblica islamica”. Il riferimento e’ alle dichiarazioni del portavoce del ministero iraniano degli Esteri, Ramin Mehmanparast, in base alle quali Teheran ha bloccato la condanna per adulterio, ma non quella per complicita’ nell’omicidio del marito. “Al momento non abbiamo ricevuto alcun documento ufficiale e legale sulla sospensione della sentenza di lapidazione e di morte – spiega – e di conseguenza non accettiamo quelle affermazioni. Devono consegnarci dei documenti legali a questo riguardo”.

Quanto alla confessione della donna, Sajjad afferma che “dal momento che non si e’ svolta in presenza del nostro legale, Hootan Kian, ma piuttosto in presenza di Azad Press, non possiamo confermarne i contenuti, dal momento che le circostanze in cui si e’ svolta questa intervista non sono chiare”. “Sulle percosse e ai maltrattamenti relativi a tale intervista – aggiunge – l’avvocato Kian non ha ancora ricevuto alcuna informazione”, mentre “sul fatto che mia madre ha detto che ci incontravamo con cadenza settimanale, la Repubblica islamica deve fornire le prove di queste visite settimanali – conclude – il nostro nome dovrebbe essere registrato per dimostrare che ci siamo recati la’ a visitare l’internato”.