L’Opec festeggia 50 anni

ROMA – “Coordinare e unificare le politiche petrolifere degli Stati membri e determinare i migliori mezzi per salvaguardare i loro interessi, individualmente e collettivamente”. Con questo fine il 14 settembre 1960 Iran, Iraq, Arabia Saudita, Kuwait e Venezuela davano vita all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec), in risposta alle restrizioni all’importazione di greggio da Sudamerica e Golfo Persico imposte dal governo sttunitense guidato da Dwight Eisenhower.


La decisione ebbe un notevole impatto sul mercato petrolifero mondiale, ai tempi fortemente integrato in verticale con grandi compagnie anglosassoni che gestivano tutte le fasi del ciclo produttivo e commerciale, dall’estrazione fino alla distribuzione al cliente finale, e potevano quindi fissare arbitrariamente il prezzo del greggio. Un sistema a cui l’Opec intendeva porre freno, rimettendo nelle mani degli Stati dotati di riserve petrolifere il potere di decidere i livelli di produzione e, di conseguenza, influenzare il livello dei prezzi.
La prima vera prova di forza dell’Organizzazione arrivò tredici anni dopo, nel 1973, quando i suoi membri arabi, riuniti in un sottogruppo organizzato, decisero di interrompere le forniture di greggio ai Paesi che avevano dato sostegno a Israele nella guerra del Kippur contro Egitto e Siria. I prezzi di petrolio e derivati schizzarono verso l’alto, raddoppiando o triplicando, e molti governi occidentali furono costretti a varare misure di riduzione dei consumi energetici, e a intraprendere la ricerca di fonti alternative agli idrocarburi.


A partire dagli anni Ottanta, però, il modello dello scontro tra Paesi produttori e compagnie lasciò il posto a un sistema intermedio, mantenuto ancora oggi, in cui la decisione sul prezzo del barile viene lasciata al mercato. L’Opec, quindi, rinunciò a fissare in modo autonomo il prezzo a cui vendere il proprio petrolio, scegliendo di passare a un’influenza indiretta attraverso variazioni dell’offerta, ovvero della quantità di greggio prodotto. Una situazione in cui il potere dell’Opec, i cui membri sono saliti a 12 (i cinque fondatori più Algeria, Angola, Ecuador, Libia, Nigeria, Qatar ed Emirati arabi uniti) varia a seconda del contesto economico e del fabbisogno energetico degli acquirenti, ma anche del suo livello di coesione interna nel prendere ed applicare le decisioni, oltre che ovviamente dalla quantità di greggio prodotta dai Paesi non appartenenti all’Organizzazione, Usa in testa.


Al dibattito su quote di produzione e prezzo del petrolio si è affiancato poi, negli ultimi 3 anni, quello sulla valuta di riferimento per la compravendita del greggio. Dopo la crisi finanziaria e il crollo del dollaro alcuni Paesi, in testa Iran e Venezuela, hanno ipotizzato il passaggio a un’altra moneta di riferimento, o addirittura a un paniere di differenti valute. “Si potrebbe includere l’euro – dichiarava nel 2007 il presidente venezuelano Hugo Chavez – lo yen e perché no il bolivar”.