“Il governo prima se ne va meglio è”

ROMA – ‘Patto del trampolino’, giustizia, disoccupazione. Passando da un tema all’altro, Massimo D’Alema parla ai giovani democratici e ai giovani socialisti europei riuniti a Roma per un convegno sul lavoro. “Penso che il governo prima se ne va meglio è, se si butta dal trampolino, in senso metaforico, certamente è un fatto positivo”, afferma l’ex premier commentando il cosiddetto ‘patto del trampolino’ lanciato dal ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli (“Devono incontrarsi Berlusconi, Bossi e Fini“ e stipulare “un ‘patto del trampolino’ per rilanciare legislatura ed esecutivo” aveva detto).

“Questo governo – prosegue – non mi sembra in grado di affrontare i problemi del Paese e mi pare che questi problemi si aggravino ogni giorno e che Berlusconi non sia in grado di offrire un progetto serio e credibile al Paese. Le riforme, lo sviluppo economico, l’occupazione non è neppure nell’agenda del governo, discutono solo di come fare una leggina sulla giustizia. La distanza tra il Paese reale e questo governo è impressionante e incolmabile, nessun trampolino potrà colmarla”.

“Il Paese – dice – avrebbe bisogno di un governo che non chiamerei tecnico, di un governo nuovo, diverso, fondato sul più largo consenso, che cambiasse la legge elettorale e affrontasse l’emergenza sociale che questo governo non è in grado di affrontare. E poi andare probabilmente alle elezioni. Il governo prima se ne va meglio è, dopo di che bisogna aprire un nuovo corso politico”.

E insiste: se la giustizia è la priorità, vuol dire “che il governo ha fallito”. Può essere, si chiede il presidente di Italianieuropei, che la giustizia sia “la priorità in un Paese in cui si contano milioni di disoccupati, dove cala il reddito disponibile delle famiglie e torna il dramma della rottura tra Nord e Sud? Stiamo parlando di come ridurre il potere dei pubblici ministeri e che danno fastidio a Berlusconi?”.

Sulla disoccupazione non risparmia critiche a Tremonti. “La Banca d’Italia ha citato i numeri veri, ma il ministro Tremonti ha detto che sono ansiogeni – sottolinea -. Il problema non è affrontare i problemi ma è non dirli perché se no si crea ansia. In questo senso abbiamo un ministero dell’Economia che lavora come il minculpop, nel senso che il suo obbiettivo non è affrontare i problemi ma fare in modo che il Paese non si spaventi”. “Se i numeri creano ansia – prosegue – mi dispiace per Tremonti ma se si fa prendere un po’ di ansia non è male, nel senso che si dà da fare per affrontare i problemi reali del nostro Paese”.

Poi attacca Tremonti sulle sua ultima dichiarazione (“i numeri vengono prima della politica”, ha detto ieri il ministro). Secondo D’Alema “la politica serve anche a cambiare i numeri. C’è un rapporto dialettico tra la politica e i numeri – spiega -, tuttavia sono i numeri che condannano l’attuale governo italiano”, perché “ci dicono che negli ultimi 10 anni, nel corso dei quali per circa 8 hanno governato loro, la crescita è stata zero, la crescita della spesa pubblica corrente è stata 5 punti di Pil. Questi sono i numeri che rappresentano il bilancio del governo Berlusconi e Tremonti”.

“Adesso si presentano come i paladini del rigore europeo, che è una novità rispetto ai sentimenti violentemente antieuropei della destra, rispetto alla violenta campagna contro l’introduzione dell’euro che fecero”. Adesso Berlusconi e Tremonti “dicono che bisogna coniugare rigore e sviluppo, che è una frase bellissima ma in realtà hanno coniugato la mancanza di rigore e la mancanza di sviluppo per molti anni e il risultato è una sorta di catastrofe nazionale”.

La politica, per l’ex premier, deve essere in grado anche di ascoltare la piazza. Le richieste che giungono da manifestazioni come quella organizzata ieri a Roma dalla Cgil e dalla Fiom. “I partiti devono sapere ascoltare e capire, come ha detto giustamente Bersani – sottolinea D’Alema – Ieri c’è stata una grande, pacifica manifestazione, che testimonia quanto è profondo il malessere nel mondo del lavoro. Credo che la politica se ne debba far carico anziché criminalizzare la protesta”.