‘Ndrangheta, donna sciolta in acido

È stato un caso di ‘lupara bianca’ in una delle zone più eleganti di Milano, quello del rapimento e dell’assassinio di Lea Garofalo la collaboratrice di giustizia senza più protezione punita con la morte dal suo ex compagno che, insieme ai fratelli, ha organizzato una vera e propria esecuzione arrivando a sciogliere il cadavere nell’acido.

Ed è questo delitto “orribile” che ha portato la scorsa notte i carabinieri del nucleo investigativo del capoluogo lombardo a notificare sei ordinanze di custodia cautelare in carcere per omicidio e distruzione di cadavere. Firmati dal gip Giuseppe Gennari, su richiesta del procuratore aggiunto Alberto Nobili e dei pm Marcello Tatangelo (Dda) e Letizia Mannella, i provvedimenti sono stati consegnati in cella a Vito Cosco, l’uomo da cui Lea Garofalo ha avuto anche una figlia ora maggiorenne, e a Massimo Sabatino. I due sono stati arrestati lo scorso febbraio per un precedente tentativo di sequestrare e uccidere la donna. Le porte del carcere si sono aperte invece per i fratelli di Carlo Cosco, Giuseppe detto Smith (a cui è stato contestato anche lo spaccio di stupefacenti) e Vito detto Sergio, e anche per Carmine Venturino e Rosario Curcio, quest’ultimo accusato solo di distruzione di cadavere.

Per loro domani cominceranno gli interrogatori di garanzia. I sei, con la complicità di altre persone che le indagini non sono riuscite ad individuare, si sono macchiati, per dirla con le parole del gip “di un gravissimo fatto di sangue” compiuto “con fredda determinazione”. Vito Cosco che già dal 2000 aveva maturato il progetto di far fuori la sua compagna, a maggio dell’anno scorso aveva già provato ad ammazzarla. Il motivo: aveva raccontato ai magistrati gli ‘affari’ (un omicidio e vicende di droga) di una famiglia che, comunque, “non risulta – annota il giudice – avere mai rivestito un ruolo predominante nel panorama ‘ndranghetista” della zona di Petilia Policastro. Eppure questi “criminali di mestiere e per scelta di vita”, poco meno di un anno fa sono riusciti nel loro intento: eliminarla “dalla circolazione” per “accreditare la tesi dell’allontanamento volontario”.

Lei, “donna in fuga e che nella “logica calabrese” ha compiuto una scelta “eccentrica, tradendo al famiglia”, dopo essere stata attirata a Milano con la scusa di far riavvicinare la figlia al padre, “sotto gli occhi di ignari passanti” è stata prelevata e uccisa. Poi, il giorno dopo, la liberazione del suo “scomodo corpo (…), facendolo sparire tra il ribollire dell’acido”, probabilmente a san Fruttuoso, vicino a Monza, dove i Cosco – come racconterà uno dei due ‘pentiti’ che hanno corroborato gli indizi e le prove raccolte – “hanno un piazzale o un terreno dove tengono i mezzi di movimento terra della loro ditta”.

Come se non bastasse a questo “orrore” si aggiungono, dopo la morte della madre, minacce e intimidazioni per la figlia, Denise, colpevole di aver intuito o di sapere cosa era accaduto alla Lea. Minacce e intimidazioni da parte dello stesso padre e degli zii che, già distrutta dal dolore, l’hanno costretta a vivere senza quella pace che forse ora potrà ritrovare.