Da “Passaporto Verde” a “Largo Aihú” Si chiamava “Fior di Luce”

CARACAS – Una strana e simpatica storia d’amore che fa parte di tante altre storie umanissime vissute dai nostri emigranti e raccontate in “Passaporto Verde”, il libro di Gaetano Bafile a cura di Marisa Bafile, giornalista e scrittrice nata, (come lei stessa ama sottolineare), avvolta tra le pagine de “La Voce d’Italia” assieme al fratello Mauro, che oggi ne dirige la testata. È più che raro trovarsi di fronte ad una storia raccontata circa cinquanta anni fa da “La Voce d’Italia”, quando la nostra emigrazione varcava i confini della madrepatria alla ricerca di un luogo più sereno e tranquillo dove poter crescere i propri figli, senza il pericolo della guerra. Pane e lavoro erano a quel tempo necessari ed affannosamente rincorsi per ogni angolo di mondo. L’America del sud e, particolarmente il Venezuela assieme all’Argentina ed al Brasile, erano le terre prescelte dai nostri connazionali per iniziare una nuova vita. Di quella epopea di avventurosi emigranti, Bafile scrisse senza trascurarne nessun particolare: il viaggio, l’incontro con la terra prescelta, i disagi, il lavoro, i “colpi di fortuna”, l’inventiva tutta italiana di accomodarsi alla nuova vita e poi, gli amori, le delusioni, i trionfi.


Tra questi simbolici “pezzi di vita” contenuti in “Passaporto verde”, ne spicca uno, intitolato “Fior di Luce”. Ma la cosa più imprevedibile, che sembra far parte di una novella, è che “Fior di Luce”, cinquanta anni dopo, torna sulle pagine della nostra “Voce” per parlarci ancora dell’emigrazione d’allora e degli sviluppi di una storia che cinquanta anni fa si era conclusa con il tanto atteso rincontro familiare.
Torniamo quindi agli inizi e raccontiamo ai nostri lettori la vicenda di “Fior di Luce”, cosí come l’ha presentata Marisa Bafile commentandone l’articolo del padre.


Sottolinea nel prologo Marisa: “È questa una strana simpatica storia d’amore che, a quanto pare, riuscì in quell’epoca a commuovere tanto i siracusani come gli italiani del Venezuela. Immaginiamo come attorno a Fior di Luce, figlia dell’Oriente e soprattutto in quegli anni, di una Cina avviata dall’epica marcia di Mao verso una delle svolte più significative della sua storia, si creasse un interesse tutto particolare, pieno di ingenua curiosità e di quella calda ospitalità che, ancor oggi, per fortuna, si può sentire in certi paesini italiani”.


Ed inizia così la storia raccontata da Gaetano Bafile: “A bordo dell’Auriga, sono in viaggio per il Venezuela dirette a Caracas, una cinese e cinque cinesine, madre e figlie…” (allora gli occhi a mandorla evocavano immancabilmente la Cina seppur le “cinesine” di “Passaporto Verde” appartenvano al “Paese del Sol Nascente”: il Giappone). Proseguiamo il racconto: “Veramente dovremmo parlare di una cinese e di cinque italo-cinesine, ed il perché ve lo diciamo subito, narrandovi la storia di queste insolite passeggere dagli occhi a mandorla, propri della razza cinese, dai capelli neri onduati e dall’intelligenza sveglia, caratteristiche tipiche degli italiani. Chi era questa viaggitrice d’eccezione? Si tratta della signora cino-italiana Cun Choo Kium, che sarebbe come dire “Fior di Luce” o Lucia, perché cattolica e sposata secondo il rito cattolico col cittadino italiano Giovanni Calcina di Siragusa. ‘E questo un ex marittimo che, sedotto dal miraggio di una vita migliore, abbandonò la nave sulla quale era imbarcato e si trovò un lavoro a Pechino. Quì conobbe Fior di Luce, figlia di un ufficiale della Marina mercantile, residente a quel tempo nella città dove la fanciulla seguiva i corsi di Diritto presso il “Chou Jan College”.

Fior di Luce è dottoressa in giurisprudenza ed ha esercitato la professione forense specializzandosi in divorzi. Ma tutto questo non aveva importanza agli occhi di Giovanni Calcina, per il quale contava soltanto il fatto che quella ragazza gli piaceva e lo aveva ammaliato. Si sposarono ed ebbero cinque bambine. Vissero con una certa agiatezza a Tien Tsin dove, dopo il matrimonio, fissarono la loro residenza. Poi le cose cambiarono. Voci insistenti parlarono di una guerra imminente; la propaganda crebbe d’intensità in favore del comunismo; poi venne la guerra tra Mao Tse Tung e Cian Kai Schek e vinse Mao, a capo dell’epica grande marcia: il comunismo issò le sue rosse bandiere su tutta la Cina. Così, Fior di Luce perdette di colpo la clientela del suo studio. Il marito, Giovanni Calcina, perdette il suo posto di fornaio, dal quale traeva mezzi economici pari a quelli che la moglie otteneva esercitando la propria professione di avvocato. Furono giornate drammatiche allorché, finiti i pochi risparmi, la coppia si trovò a dover provvedere il pane quotidiano, mentre tutto intorno il mondo era improvvisamente cambiato. Giovanni Calcina, resosi conto della situazione sua e della propria famiglia, prese una decisione. Si recò al Consolato italiano assieme alla moglie e alle bambine. Affidò al Console la sua famiglia ed egli stesso s’imbarcò su un piroscafo in partenza per il Venezuela. Poco dopo il Console spedì Fior di Luce e le sue creature in Italia, a Siracusa. Quì la famiglia era stata accolta a braccia aperte da un cugino di Giovanni Calcina. Dopo alcuni mesi giunse da Caracas il telegramma con il quale Giovanni Calcina richiamava a se la moglie e le bambine, che si imbarcarono a Napoli a bordo dell’“Auriga”. Per qualche anno la signora Kium, quindi, visse a Siracusa, ospite della cognata, sognando di raggingere il marito che nel frattempo, lavorando sodo mette su a Caracas un negozio di generi alimentari ed una casa…. ‘Sono dispiaciuta di lasciare l’Italia – ha detto la signora Fior di Luce (chiamata dagli italiani Lucia) – ma non non vedo l’ora di riabbaracciare mio marito. Mi sento italiana anche se ho gli occhi a mandarla’.

Le piccole Calcina erano elettrizzate dalla partenza ed anche confuse per le accoglienze che gli ufficiali e l’equipaggio della nave avevano loro riservato, nonostante il rammarico di dover lasciare l’Italia seppur felici di “riabbraccciare papá”.
Questa è la storia di Fior di Luce pubblicata nell’edizione di “Passaporto Verde” del 1994. Una storia un po’ diversa dalle altre, soprattutto per il percorso fatto dai suoi protagonisti e raccontata in un suo reportage su “La Voce d’Italia” da Gaetano Bafile, così come accadeva per tante altre storie nostalgiche ed assolutamente vere dei nostri connazionali emigranti.


Ma torniamo con un balzo al presente: al Venezuela dell’anno 2010, Paese tanto diverso da quello che i nostri pionieri hanno conosciuto e vissuto: una inattesa telefonata al nostro Giornale, risveglia un lontano ricordo. Ed eccoci con Susanna Calcina, una delle figlie di “Fior di Luce” e di Giovanni. Susanna è una donna coltissima che non ha dimenticato la storia dei propri genitori e l’ha voluta raccontare scrivendo un libro dal titolo “Largo Aihú”. Ma non è tutto, poiché la nostra amica conosce un signore che porta un cognome ben noto tra gli italiani del Venezuela: Cupello. Forse qualcuno ricorda il grande orologio che da una delle torri della “Previsora” a Sabana Grande, scandiva ogni anno la luminosa mezzanotte, orgoglio dei Cupello famosi orologiai e che oggi, purtroppo, non c’é piú, assieme a tante altre cose.


Ma, torniamo a noi: Cupello mostra a Susanna il libro “Passaporto Verde” e Susanna chiama al nostro Giornale per incontrarci. Sfogliamo immediatamente il libro… toccanti storie dei nostri pionieri tratte dalle pagine della “Voce d’Italia”: il giornale della collettività italo-venezolana che proprio quest’anno celebra il suo 60esimo compleanno. Leggiamo di “Fior di Luce”.


La nostra curiositá è grande. Andiamo all’incontro con Susanna Calcina.
– Io sono l’ultima delle figlie di Fior di Luce e di Giovanni – ci dice – ed ho deciso di scrivere la storia della nostra famiglia. Ho intitolato il mio libro “Largo Aihú” (Lungo viaggio) sono trecento pagine di “amore e dolore” che vedranno la luce stampate da “F.B. Libros Venezolanos”. È il mio primo libro. Racconto di mio padre nato a Siracusa che all’età di 18 anni viene chiamato a servire la Patria. Era l’epoca di Mussolini. Papà fu mandato in Cina. Li conobbe mamma. Mio nonno era un Generale stabilitosi in Manciuria. Mamma e papà s’innamorarono e si sposarono presso il Consolato italiano di Sciangai. Mamma era bellissima! (è vero, ne osserviamo il perfetto ovale del volto, i bellissimi capelli neri, in una foto assieme al suo adorato Giovanni, dai tratti inconfondibilmente siciliani).


Susanna prosegue emozionata il suo racconto e giungiamo al momento in cui assieme alla madre ed alle sorelline viaggia alla volta della Sicilia. Siracusa le attendeva e furono ospiti gradite dei parenti di Giovanni. Intanto, il nostro eroe, dopo una sosta negli Stati Uniti dove risultò deluso, decise di dirigersi in Venezuela sperando di rincontrarvi il fratello emigrato, del quale non si avevano più notizie. Purtroppo non ne conosceva l’indirizzo. Dunque, quì viene il bello e Susanna ce lo racconta commossa:
– Papà era disperato e dormiva in una “galpon” assieme ad altri connazionali emigrati quando ebbe un “sogno” (cosí almeno lui lo raccontò). Sentí, (lo interpretò come un consiglio di San Antonio del quale era devotissimo) che doveva cercare un uomo che si chiamava Gaetano Bafile e che quest’uomo lo avrebbe aiutato. Chiese appunto ai suoi compagni e qualcuno gli diede l’indirizzo di Bafile. Giovanni bussa alla porta del “giornalista degli emigranti” e si presenta mentre, amabile come sempre è stato, Gaetano Bafile lo invita ad entrare a condividere il desco con lui e poi, gli offre tutto l’aiuto del quale Giovanni aveva bisogno.


Forse furono soldi raccolti tra connazionali i piú fortunati, ma la somma di Giovanni aveva bisogno per andare a Barquisimeto, (frattanto Bafile aveva rintracciato il fratello di Giovanni che viveva appunto in quella cittadina) ed iniziare una attività, Bafile gliela procurà con la promessa che il connazionale avrebbe fatto onore al prestito.


Giovanni iniziò a lavorare nella “città dagli incredibili tramonti”, aprì una “Panaderia” e mandò a prendere la famiglia intera a Siracusa.


Un giorno, Bafile trova sulla scrivania del proprio ufficio un paio di chiavi. Lo chiamano dalla strada e si trova al cospetto di una lucente automobile nuova di zecca. “È un regalo di Giovanni” qualcuno precisa. Bafile vuole provare la macchina ma non sa guidare. Tra uno strattone e l’altro si ferma prima di sbattere contro qualche muro. Bafile dice “Grazie, ma non fa per me”. A piedi si sentiva più sicuro e di amici che gli davano “un passaggio” ne aveva moltissimi. Così finisce l’incontro magico di Giovanni sposato con Fior di Loto e il nostro mitico Gaetano Bafile.


Il padre di Susanna è morto nel 1990: la madre recentemente, dopo aver scritto un meraviglioso libro intitolato “Ventana al Oriente”. Adesso, Susanna racconta nel suo, pieno di ricordi e nostalgie che un poco ci appartengono, l’autentica storia di “Fior di Luce”, mentre “LaVoce d’Italia” è sempre quí, testimone della nostra di ieri e di oggi.


Anna Maria Tiziano