Risparmio, italiani più pessimisti, una famiglia su quattro si indebita per vivere

ROMA – Italiani prudenti e preoccupati. E sostanzialmente in attesa di tempi migliori. E’ la fotografia scattata dall’indagine Acri-Ipsos 2010 che sarà presentata in occasione della 86a Giornata mondiale del Risparmio. L’attendismo prudente e preoccupato pare legato a disillusione e a scarsa visibilità sul futuro. Il Paese viene percepito come poco reattivo alla crisi (i pessimisti sul futuro della sua economia sono il 41% contro il 30% di ottimisti), ma anche sulla ripresa globale gli Italiani fanno affidamento meno che in passato. La sfiducia nelle prospettive economiche del Paese ci accomuna, per altro, con altri grandi paesi come gli Usa, la Francia, il Regno Unito, la Spagna; solo in Germania si registra un trend positivo a partire dalla primavera 2009.


Se nel 2009 la crisi pareva sottolineare l’importanza della globalizzazione e i vantaggi del coordinamento internazionale, ora molti concittadini hanno mutato tale fiducioso affidamento in dubbio. Questa situazione sembra intaccare, seppur marginalmente, anche lo storico sentimento europeista degli Italiani. Se in generale permane la fiducia nell’Unione Europea (il 67% ha fiducia), emerge una certa freddezza e minor convinzione: pochi dichiarano di avere più fiducia (il 7%) a fronte di un cospicuo numero che dichiara di averne meno (il 28%).


Pensando al futuro dell’economia in generale, l’ottimismo prudente registrato nel 2009 (il 55% di ottimisti contro il 29% di pessimisti) rimane tuttora maggioritario ma assai ridimensionato: il 45% di ottimisti contro il 37% di pessimisti (in particolare nel Centro Italia gli ottimisti passano dal 57% del 2009 al 39% del 2010).
E’ da notare che, nonostante pochi Italiani (6%) dichiarino migliorata la propria situazione economica, i soddisfatti crescono di 2 punti percentuali rispetto al 2009, dal 54% al 56% e dall’inizio della crisi crescono addirittura di 5 punti percentuali (nel 2007 e nel 2008 erano il 51%): in particolare crescono nel Nord Est (+9 punti percentuali dal 2009) e nel Nord Ovest (+5 punti percentuali), mentre il Centro e il Sud sono assenti da questo recupero.


La contraddizione di un Paese che nell’insieme è sempre più preoccupato del futuro e che, parimenti, mostra un consistente numero di cittadini soddisfatto circa la propria situazione personale potrebbe trovare la spiegazione in una sorta di sospensione delle aspettative di miglioramento. In merito alla propria situazione personale, quasi la metà degli intervistati (il 49%) ritiene che non cambierà, ma i fiduciosi (28%) superano gli sfiduciati (19%).


Gli Italiani mostrano una bassa propensione al rischio: è riscontrabile nel 66% della popolazione, che dichiara di averne una ridotta (29%) o quasi nulla (37%), a fronte di un 24% di aperti verso il rischio e un 10% di Italiani effettivamente propensi al rischio. A conferma di questa bassa propensione, se fosse loro concesso di “prendere le decisioni” al posto di una banca, nel 67% dei casi preferirebbero finanziare imprese solide e famiglie con bassissimo livello di rischio, anche guadagnando poco; solo il 23% sarebbe propenso a finanziare imprese e famiglie più redditizie, anche se più rischiose (il restante 10% non si esprime).


Dal sondaggio risulta che il numero di chi riesce a risparmiare si mantiene costante rispetto agli ultimi anni attestandosi al 36%; sono il 37% quelli che consumano tutto ciò che guadagnano e ben una famiglia su quattro deve ricorrere a debiti o al decumulo di risparmio pregresso. Se nel Nord Est si registra il numero maggiore di famiglie in grado di accumulare risparmio (ci riesce il 45%), il Sud si trova più in difficoltà (solo il 30% riesce a risparmiare).


L’impatto della situazione per quanto riguarda l’investimento è tale che sempre più famiglie (68% rispetto al 62% del 2009) preferiscono la liquidità, mentre il mattone si conferma ancora l’investimento percepito come “ideale”, specie tra coloro che effettivamente sono riusciti ad accumulare risparmio nel corso del 2010 e che quindi esprimono un giudizio che può essere molto prossimo alle effettive intenzioni. La loro preferenza per il mattone sale dal 52% al 58%, raddoppia quella per gli strumenti finanziari più rischiosi (dall’8% al 16%), mentre si riduce la propensione per gli strumenti considerati più sicuri (dal 26% del 2009 al 20% nel 2010) e l’attendismo (dal 14% al 6%).


I consumi tornano a frenare, specie per le famiglie in crisi o che stanno sperimentando difficoltà; ed anche coloro che appaiono in una situazione tranquilla mostrano un atteggiamento prudente, orientato alla ridefinizione delle proprie spese, spostando ancor più l’attenzione dal fuori casa alla casa. Solo chi si ritiene in una situazione in miglioramento ha rafforzato i propri consumi, verso ogni tipologia di spesa, in particolare se legata al fuori casa e al benessere. Peraltro in miglioramento sono solo il 6% (una famiglia su 17, mentre nel 2006 era una famiglia su 9). Cresce, infatti, il numero di famiglie che sono riuscite a mantenere il proprio standard di vita solo con fatica (erano il 42% nel 2006, il 43% nel 2009, il 47% nel 2010), mentre si mantiene costante il numero di quelle che ritengono peggiorato il proprio tenore di vita (era il 19% nel 2006, il 19% nel 2009, il 18% oggi); costante infine il numero di famiglie che riescono a mantenere il proprio tenore di vita abbastanza facilmente (il 28% nel 2006, il 30% nel 2009, il 29% nel 2010).


Per il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, gli italiani sono un popolo di risparmiatori, ma preoccupa il persistente divario tra il Nord e il Sud del Paese.
– C’è una propensione, una voglia di risparmiare sempre maggiore -ha dichiarato Guzzetti a margine della presentazione- Devo rilevare che il dato che un quarto circa degli italiani si indebita per chiudere a fine anno i bisogni essenziali della famiglia è un po’ preoccupante. Ma meritevole di attenzione è il dato di grande divario tra i risparmi nel Nord-Est, 46% e del Sud, 30%. E’ una grossa disparità.

LA POLITICA


La crisi delle piccole imprese e l’incertezza delle famiglie

ROMA – ‘’Nel nostro paese è sempre più difficile realizzare il risparmio, perchè l’assottigliamento dei salari e dei redditi in generale consente di risparmiare sempre meno. Purtroppo poi questo risparmio viene destinato dalle grandi banche al sistema delle grandi aziende e alla finanza e non invece alle piccole imprese e alle famiglie’’. Lo dice Marco Reguzzoni, capogruppo della Lega Nord alla Camera, commentando l’indagine Acri-Ipsos 2010, che sarà presentata in occasione della 86a Giornata mondiale del Risparmio.


– Ad esempio -sottolinea il presidente dei deputati del Carroccio- come spiegano i dati della Cgia di Mestre, a fronte del 20 per cento dell’occupazione nel nostro paese, la grande imprese e la finanza ottengono il 70 per cento dei crediti. Alle piccole imprese e alle famiglie va invece solo il 30 per cento. Purtroppo -rimarca Reguzzoni- il risparmio dei nostri lavoratori, pensionati e famiglie viene convogliato non là dove si genera la ricchezza del paese. Noi dobbiamo invertire questa tendenza e andare a finanziare quelli che nel nostro paese, per l’80 per cento, danno lavoro alle persone: le piccole imprese.


Dall’opposizione interviene Francesco Boccia, deputato Pd e coordinatore delle commissioni economiche del Partito democratico alla Camera, che non è affatto meravigliato dai dati dell’indagine.
– Per chi vive la vita di ogni giorno e analizza i fenomeni economici italiani, questi numeri sono una conferma ulteriore dello stato di incertezza in cui versa il paese da due anni, in assenza di politiche economiche. E’ sotto gli occhi di tutti: non c’è uno straccio di politica industriale. Solo interventi legati a gruppi di interesse che interloquiscono singolarmente o con il ministero dell’Economia o con Palazzo Chigi. Anche la manovra correttiva annunciata in queste ore è la riprova di questa condizione. Le famiglie -rimarca Boccia- non avendo certezze e nessuna politica fiscale, ricorrono a un vecchio metodo sempre infallibile: il risparmio ‘sotto il materasso’ o il ‘mattone’. L’Italia per fortuna è ancora quella, ma più che accumulo di risparmio questo è un chiudersi in una trincea sicura che porta le persone a non rischiare nulla. Quando il paese non cresce e aumentano le incertezze -insiste l’esponente democratico- chi ha qualcosa da difendere si chiude a riccio. Se Tremonti non se ne accorge, sarà responsabile anche di questo. Lo Stato -conclude- sta abdicando alla sua funzione sull’economia, cioe’ quella di redistribuire risorse e ricchezze stimolando crescita, impresa e investimenti.


Per Nichi Vendola, leader di Sinistra, ecologia e libertà, «il ‘miracolo’ di questa destra è stato di aver squagliato il ceto medio, producendo una polarizzazione sociale ‘modernamente’ ottocentesca, con un’Italia dei ricchi e un’Italia dei poveri».
– E tra le tante cose è saltata la possibilità del risparmio – sostiene -. Non è soltanto una perdita di reddito, ma di fiducia: non c’è più il risparmio perchè non c’è più il futuro. Si è creato un cortocircuito che ha riverberi sui meccanismi classici di quelle risorse indispensabili per affrontare il futuro’’.
– L’indagine è una fotografia molto attendibile della condizione della società italiana, ormai in grande misura convinta che il futuro del paese non sia positivo – afferma Giorgio La Malfa, parlamentare del Partito Repubblicano -. Da parte della classe dirigente serve un cambiamento molto profondo nel modo di guardare ai problemi delle famiglie e delle imprese. C’è una depressione in giro, e si vede nei fatti.


‘’Quando alle dichiarazioni di un dirigente industriale come Marchionne -fa notare La Malfa- la reazione prevalente e’ il fastidio invece che una presa d’atto di un allarme necessario per risvegliare un paese dove e’ difficile fare impresa, questo la dice lunga su quanto questa situazione sia drammatica’’. ‘’Trovo nei numeri di questa ricerca -spiega il parlamentare del gruppo Misto- la conferma di una diagnosi data da molto tempo su un’Italia che deve cambiare’’.


‘’In questo momento -fa sapere La Malfa- sono in Turchia: rimango impressionato dalla vitalita’ di questo paese la cui popolazione ha un’eta’ media di 29 anni rispetto alla media euroea che e’ di 42 anni, e ai 50 dell’Italia. Qui sento circolare la vitalita’ di una societa’ emergente. Noi invece facciamo parte di una societa’ vecchia e seduta su se stessa. Non abbiamo ancora risolto i problemi del Mezzogiorno o della giustizia sociale. Il nostro paese -conclude- deve sentire che la sua classe dirigente e’ consapevole dei problemi e si spinge in avanti per risolverli, lasciando fare impresa. Per invertire la rotta serve un segnale di svolta politica. Un segnale serio’’.