Israele, quindici anni senza Yitzhak Rabin

Yitzhak Rabin? “Un uomo di guerra che ha saputo trasformarsi in uomo di pace”. E’ nitido, nel suo rifiuto dei revisionismi di comodo dell’ultim’ora, il ricordo che Ron Pundak, direttore generale del Centro Peres per la Pace, è convinto di dover trasmettere della figura dell’ex premier laburista d’Israele, ucciso 15 anni fa dal giovane estremista di destra Yigal Amir.

Pundak, in occasione della tradizionale commemorazione di piazza che si è tenuta a Tel Aviv (e che potrebbe essere l’ultima in questa forma), sa di cosa parla. Visto che fu in prima fila, all’inizio del 1993, tra i pionieri delle trattative che portarono allo storico accordo di Oslo fra israeliani e palestinesi. E, poi, il 13 settembre, alla firma del documento finale di Washington fra Rabin e Arafat. Un lungo cammino che il negoziatore d’allora condusse sotto la guida del ministro degli Esteri, Shimon Peres, e del suo delegato Yossi Beilin. Ma per il cui compimento continua a rivendicare anche oggi il ruolo decisivo del premier-soldato.

“Un uomo dal brillante passatomilitare – sottolinea – che seppe tuttavia liberarsi delle scorie del passato per comprendere come la pace fosse la nostra migliore difesa e garanzia di stabilità”. “E’ questo – prosegue Pundak – ciò che di lui mi ha sempre affascinato sopra ogni altra cosa. E del resto ricordo che, ancor prima di Oslo, l’idea guida di un suo libro era che i problemi della pace andassero considerati comunque preferibili ai costi di qualsiasi guerra”. Ron Pundak non pare ritenere degni d’una risposta quegli esponenti della destra israeliana – ora sulla cresta dell’onda – che negli ultimi mesi di vita di Rabin condussero contro di lui una campagna di delegittimazione senza precedenti. E oggi richiamano le cautele di un suo estremo intervento dinanzi alla Knesset (ma non i contenuti del discorso in difesa del processo di pace tenuto in piazza dinanzi a una folla sterminata di persone la sera stessa in cui fu freddato) per sostenere che in fondo il defunto non concepiva la nascita d’uno Stato palestinese in piena regola. E magari la pensava come loro. Preferisce piuttosto evidenziare come i meriti del Rabin negoziatore non si siano fermati all’accordo di Oslo: “La firma del Trattato di pace con re Hussein di Giordania – rimarca – non fu da meno: consentendo l’apertura di relazioni vere tra due Stati confinanti, con risvolti tuttora importantissimi”.