Birmania al voto senza entusiasmo

Nessun episodio di violenza e brogli tutto sommato contenuti rispetto ai timori della vigilia. Ma anche, considerando che si trattava del primo voto dopo vent’anni in Birmania, un’affluenza modesta in un’atmosfera ben lontana dall’euforia delle elezioni del 1990, sebbene i media nazionali cerchino di far credere il contrario.

Mentre si attendono i primi risultati, anche se la vittoria del partito di regime è largamente attesa, le elezioni sono intanto già state sminuite a farsa da diversi Paesi occidentali, a partire dagli Usa. Ferma condanna da parte del presidente degli Stati Uniti Barack Obama che ha anche lanciato un appello al regime militare a liberare “immediatamente e senza condizioni Aung San Suu Kyi e tutti i prigionieri politici”. Gli elettori, ha raccontato la tv statale birmana, “hanno votato liberi e felici”; il quotidiano “New Light of Myanmar”, un bollettino del regime, ha parlato invece di “votazione di massa” e “fervore nazionalistico”.

Ma osservatori indipendenti, specie facendo il confronto con le lunghe file ai seggi del 1990 (quando il partito di Aung San Suu Kyi trionfò in elezioni poi mai onorate), hanno invece constatato tutt’altro: “Sembra una domenica qualunque”, ha raccontato l’ambasciatore britannico da Rangoon, mentre diverse testimonianze parlavano di sezioni semi-vuote. Le stime dell’affluenza da parte degli analisti vanno dal 30 al 50 per cento. I siti di informazione della diaspora birmana hanno riportato varie irregolarità, da urne riempite con schede votate in anticipo o lasciate aperte, ai suggerimenti di voto da parte dei funzionari al seggio; buona parte degli aventi diritto era già stata fatta votare in anticipo, tra accuse di brogli ancora più massicce. Non ci sono però osservatori elettorali stranieri a documentarle. I diplomatici occidentali si sono rifiutati di presenziare ai tour delle sezioni organizzati dal regime, mentre quelli asiatici difficilmente faranno storie: a Mandalay, l’organo di informazione “Democratic voice of Burma” ha riferito che una delegazione di osservatori era guidata dall’ambasciatore nordcoreano.

I media di regime, nonostante i toni orwelliani, hanno comunque coperto l’evento in maniera superficiale: le prime immagini – alcuni dei più alti generali al seggio con le mogli – sono state trasmesse quattro ore dopo la chiusura del voto. Qualche risultato ufficioso assegna già qualche seggio in Parlamento al partito di opposizione Ndf (Forza democratica nazionale) nato da una costola del Nld (Lega nazionale per la democrazia) di Suu Kyi contrario al boicottaggio deciso dal premio Nobel per la Pace, i cui arresti domiciliari scadono sabato prossimo. Ma per i dati ufficiali bisognerà probabilmente aspettare qualche giorno. Nel maggio 2008, in occasione del referendumper la Costituzione, ne passarono cinque. Mentre nessuna critica è arrivata dai Paesi asiatici, diversi leader occidentali hanno invece ribadito oggi di considerare il voto una farsa: “Sono tutto fuorché elezioni libere e giuste”, ha dichiarato il presidente statunitense Barack Obama, esortando i generali a liberare “immediatamente” Suu Kyi e i 2.200 prigionieri politici.

Altre critiche sono arrivate dall’Unione Europea, che ha evidenziato come “non siano stati rispettati gli standard internazionali”, nonché da Paesi membri come la Francia e la Gran Bretagna, dove il ministro degli Esteri WilliamHague ha detto che i risultati “già si sapevano” prima di andare al voto.