Gli immigrati

L’immigrazione è fonte di ricchezza. Nulla di nuovo. Nessuna scoperta trascedentale, almeno per noi che viviamo l’Italia fuori d’Italia. D’altronde, è sufficiente uno sguardo alla nostra realtà. Non vi pare? Gli italiani all’estero non solo hanno contribuito con le loro rimesse al miracolo economico degli anni ’60 – quello che ha permesso all’Italia di essere annoverata tra le prime 6 economie industrializzate al mondo, tanto per intenderci – ma sono stati anche protagonisti e non semplici spettatori, nella stragrande maggioranza dei casi, della crescita economica, culturale, sociale e politica dei paesi che oggi rivendicano come loro seconda Patria. Questo, ci pare, è un dato di fatto. E non c’è chi lo neghi. Tra l’altro, non ne avrebbe gli argomenti.


Oggigiorno, nessuno più dovrebbe dubitare che multietnicità e multiculturalità, in un mondo sempre più globalizzato, senza frontiene né distanze, rappresentino una ricchezza. E, come tale, dovrebbero essere tenute in considerazione. Ma in Italia, purtroppo, c’è ancora chi nega questa realtà. Sono quei movimenti xenofobi e opportunisti che trovano terreno fertile nell’ignoranza e si avvalgono del timore che sempre incute il “nuovo” e il “diverso”. Ci chiediamo: come non rendersi conto che quelle correnti reazionarie non sono poi diverse da quelle razziste che, in passato, obbligarono le nostre Comunità a vivere in ghetti? E non sono migliori di quelle che incitavano all’odio e incoraggiavano le discriminazioni. Come dimenticare che, non molti anni or sono, ai ristoranti si leggeva: “non si ammettono cani e italiani?


Il tempo poi ci diede ragione. Alla distanza, noi, italiani all’estero, risultammo essere una ricchezza per le nazioni che ci accolsero senza pregiudizi. Oggi, la presenza di immigranti in Italia rappresenta, se si riesce a coglierne gli aspetti positivi, un’occasione di sviluppo economico, culturale e sociale. D’altronde, le indagini della Caritas, e non crediamo che si possa mettere in dubbio la serietà dell’organismo della Cei, ne mostrano le potenzialità. Ecco alcuni numeri tratti dall’ultimo Dossier dell’organismo episcopale. Oggi in Italia, gli immigrati regolari sono 4 milioni 919 mila. Negli ultimi 10 anni, è stato registrato un incremento di circa 3 milioni. Queste possono apparire cifre senza rilenvanza. Ma non lo sono affatto. Se riportate in un più vasto contesto economico, esse assumono connotati assai interessanti. Ed infatti, proprio grazie ai quasi 5 milioni di immigrati, le casse pubbliche del Belpaese ricevono ogni anno un regalo di un miliardo di euro, per via del gettito fiscale. Non è tutto. La presenza dei lavoratori stranieri assicura alla penisola entrate pari a circa 11 miliardi di euro. Non è una bagatella. Ed ancora, la retribuzione media annuale per immigrato si stima in 12 mila euro ed i contributi in circa 400 mila. Gli immigrati sono il 10 per cento degli occupati dipendenti – impiegati soprattutto in quelle mansioni che gli italiani non sono più disposti a realizzare – ed il 3,5 per cento dei titolari d’impresa. Incidono l’11,1 per cento sul Prodotto Interlo Lordo. Pagano 7,5 miliardi di contributi previdenziali e dichiarano un imponibile di oltre 33 miliardi. Da sottolineare poi, che il bilancio Inps è in attivo grazie agli stranieri e che, a dispetto di chi con troppa facilità insiste nell’equazione immigrato=delinquente, nel triennio 2005-2008 le denunce verso gli stranieri sono diminuite del 9,5 per cento. Potremmo continuare ancora, ma ci fermiano qua. Non crediamo si debba insistere oltre per evidenziare quanto sia importante il lavoro, la presenza degli immigrati. Purtroppo, però, c’è ancora chi si permette di dare le spalle a questa realtà. Non ce ne meravigliamo. In fondo, non fanno lo stesso nei nostri confronti della nostra?


Le nostre comunità rappresentano una ricchezza incommensurabile per l’Italia. Nessuno osa sostenere il contrario. Non è demagogico, quindi, affermare che oggi siamo noi i veri ambasciatori dell’Italia all’estero. E’ una realtà che rivendichiamo con orgoglio. Di fatto, contribuiamo alla diffusione ed alla collocazione del “Made in Italy” in senso lato. Insomma, non solo alla promozione dei prodotti nostrani di consumo quotidiano ma, soprattutto, della nostra tecnologia.


Oggi ci meravigliamo della poca attenzione che il governo rivolge a noi all’estero. Ma abbiamo ragioni per manifestare sorpresa? Se non si è capaci di valorizzare la ricchezza che si ha in casa, come si può apprezzare quella che si ha fuori di essa?

Mauro Bafile