Ibra e… la pensione: “Smetto tra 3 anni e non lascio il Milan”

“Quanto penso di giocare ancora? Tre anni al massimo. Devi smettere quando sei al top”. Zlatan Ibrahimovic si racconta a Vanity Fair (che gli dedica la copertina) e svela i suoi programmi per il futuro. La sua carriera, se quello che ha dichiarato verrà confermato, finirà dunque con la maglia del Milan come già aveva detto qualche volta nelle ultime settimane. Proprio il Milan, società nella quale è approdato nell’ultima estate, dopo aver giocato due anni per Juve, Inter e Barcellona.

Ai tifosi interisti arrabbiati per il suo passaggio ai cugini rossoneri, risponde che “primo: bisogna capire se sono arrabbiati davvero o lo fanno per politica. Secondo: se sei un vero tifoso sei contento di quello che ho fatto per Inter. Questo almeno è rimasto a me: un ricordo positivo. Attaccamento alla maglia? Quando sono andato dalla Juve all’Inter, allora? Anche quel passaggio non era semplice”.

E sull’ipotesi che era ventilata allora e cioè di tornare a giocare all’Inter, Ibra ha risposto che “non c’era interesse da parte della società. E comunque il mio motto è: non si torna indietro mai. Perché non potrei fare meglio di quello che ho fatto”. Inevitabile parlare di Mourinho, allenatore con cui lo svedese ha un ottimo rapporto, anche se Mou al suo secondo anno lo ha lasciato andare via. “Con Mou siamo simili perché parliamo chiaro e concreto. Mi dispiace solo che abbiamo lavorato insieme per poco, un anno. Ma in un anno abbiamo fatto grandi cose. Semi chiamasse al Real Madrid? No. Sono un giocatore del Milan adesso, e non penso ad altro”. Sul rapporto con Mourinho e su eventuali screzi avuti con il tecnico portoghese, Ibra ha rivelato che “in campo mi ha urlato tante volte, e se non giocavo bene mi insultava anche davanti agli altri, ma questo è giusto. Mourinho in campo si trasformava come noi giocatori. Però non mi ha mai detto come ha preso la decisione di vendermi al Barcellona. Ci sentiamo spesso ancora oggi, ma di questo non mi ha mai parlato”.

Non è fedele alla maglia ma da nove anni lo è alla stessa donna. In questo caso la voglia di nuove sfide prevale in altro modo: “Infatti nel 2006 abbiamo fatto un figlio, poi nel 2008 il secondo. E se vogliamo altre novità facciamo il terzo. Se mi sento il giocatore più forte del mondo? Sì. Se non lo pensi, non esci al cento per cento. Per me secondo non esiste”. Eppure, il suo “ingresso” nel mondo del calcio è stato travagliato, ha dovuto farsi largo a spallate. “Giocavo in una squadra competitiva, tutti volevano essere il migliore. Ho iniziato così e sono così ancora oggi. E poi, per stranieri con un nome come Ibra, era difficile emergere: sentivo che dovevo fare dieci volte meglio di quello al mio fianco. I giornali mi hanno costruito l’immagine da cattivo ragazzo perché ho rotto gli schemi: era la prima volta che uno straniero entrava in un club storico svedese”.