Censis: l’Italia regge grazie a famiglie e reti d’imprese

ROMA – «La società italiana ha resistito ai mesi più drammatici della crisi, seppure con una ‘evidente fatica del vivere e dolorose emarginazioni occupazionali. Al di là dei fenomeni congiunturali economici e politico-istituzionali dell’anno, adesso occorre una verifica di cosa è diventata la società italiana nelle sue fibre più intime. Perché sorge il dubbio che, anche se ripartisse la marcia dello sviluppo, la nostra società non avrebbe lo spessore e il vigore adeguati alle sfide che dovremo affrontare».


Queste le ‘Considerazioni generali’ del 44esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010.


«Una società appiattita. Sono evidenti manifestazioni di fragilità sia personali che di massa – si legge ancora – comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro».


«Si sono appiattiti i nostri riferimenti alti e nobili (l’eredità risorgimentale, il laico primato dello Stato, la cultura del riformismo, la fede in uno sviluppo continuato e progressivo), soppiantati dalla delusione per gli esiti del primato del mercato, della verticalizzazione e personalizzazione del potere, del decisionismo di chi governa».


Sulla strada della ripresa l’Italia arranca. Schiacciata, com’è, da macigni come quello del debito pubblico e di un’evasione fiscale da almeno 100 miliardi l’anno, ancora prigioniero degli intrecci perversi dell’economia irregolare, che tra il 2007 e il 2008 ha inciso sul pil per il 17,6%, il Belpaese si trova a dover fare i conti con gli effetti della crisi e della globalizzazione che portano un disinvestimento dal lavoro, uno scoraggiamento tra i giovani, una despecializzazione produttiva, risparmi stagnanti.


Vere e proprie zavorre che frenano lo slancio necessario per ripartire. Non aiuta poi la litigiosità della classe politica che per la maggioranza relativa degli italiani costituisce il principale problema che grava sulla ripresa economica. Tuttavia, il Paese tiene grazie a ‘’intrecci virtuosi’’, quali l’irrobustimento delle reti tra imprese. E soprattutto grazie alle famiglie. Le quali, se pur alle prese con la moltiplicazione di spese indesiderate e di aumenti tariffari che graveranno il prossimo anno per quasi 1000 euro a famiglia, sono un pilastro strategico del welfare. Ed è così che caricandosi di compiti assistenziali, anche gravosi e complessi, riempiono il vuoto lasciato dal sistema pubblico.


I riflettori dell’istituto si puntano, in particolare, sul disinvestimento individuale del lavoro. Mentre in tutto il mondo la ricetta per uscire dalla crisi prevede l’attivazione di tutte le energie professionali con l’auto-imprenditorialita’, ecco che l’Italia, patria del lavoro autonomo e imprenditoriale, vede, invece, ridursi in questi anni proprio la componente del lavoro non dipendente: 437.000 imprenditori e lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) in meno dal 2004 al 2009 (-7,6%).


Ma l’Italia è anche il Paese europeo con il più basso ricorso a orari flessibili nell’ambito dell’organizzazione produttiva: solo l’11% delle aziende con più di 10 addetti utilizza turni di notte, solo il 14% fa ricorso al lavoro di domenica e il 38% al lavoro di sabato. E siamo il Paese dove è più bassa la percentuale di imprese che adottano modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda (lo fa solo il 3% contro una media europea del 14%). Un quadro preoccupante emerge dai dati sull’occupazione giovanile.


Nei primi due trimestri del 2010 si è registrato poi un calo degli occupati tra 15 e 34 anni del 5,9%, a fronte di una riduzione media dello 0,9%. Poco fiduciosi nella possibilità di trovare un’occupazione, ma anche poco disponibili a trovarne una a qualsiasi condizione, i giovani hanno avvertito piu’ degli altri gli effetti della crisi. Sono 2.242.000 le persone tra 15 e 34 anni che non studiano, non lavorano, né cercano un impiego. Più della metà degli italiani (il 55,5%) pensa che i giovani non trovano lavoro perchè non vogliono accettare occupazioni faticose e di scarso prestigio: una valutazione che potrebbe apparire ingenerosa e stereotipata, se non fosse che ad esserne piu’ convinti sono proprio i piu’ giovani, tra i quali la percentuale sale al 57,8%.


Ma l’Italia, corre anche il rischio di una despecializzazione imprenditoriale. Negli ultimi nove anni, la quota dell’export italiano sul mercato mondiale è passata negli ultimi nove anni dal 3,8% al 3,5%. E’ migliorato il nostro posizionamento per prodotti come gli articoli di abbigliamento, i macchinari per uso industriale, i prodotti alimentari, ma abbiamo perso terreno nei comparti a maggiore tasso di specializzazione, come le calzature (-3,8%), la gioielleria (-4,3%), i mobili (-4,7%), gli elettrodomestici (-5,8%) e i materiali da costruzione (-13,7%). E il pericolo e’ che strategie di nicchia, design e qualita’ non bastino piu’ senza maggiori iniezioni di innovazione nei prodotti.


Altro elemento evidenziato dal Censis e’ l’uso stagnante del risparmio familiare. Mattone, liquidità, polizze: sono questi i pilastri ai quali le famiglie si sono ancorate per resistere alla crisi. Nel primo trimestre del 2010 i mutui erogati sono aumentati in termini reali del 10,1% rispetto alla stesso periodo del 2008, superando i 252 miliardi di euro. Nel biennio e’ aumentata la liquidità detenuta dalle famiglie (+4,6% in termini reali i biglietti e depositi a vista, +10,3% gli altri depositi). Nei primi nove mesi del 2010 i premi per nuove polizze vita sono aumentati del 22% rispetto allo stesso periodo del 2009. Tra le famiglie che fronteggiano pagamenti rateali, mutui o prestiti di vario tipo, il 7,8% dichiara di non essere riuscito a rispettare le scadenze previste, il 13,4% lo ha fatto con molte difficolta’, il 38,5% con un po’ di difficoltà: a soffrire di più sono state le famiglie monogenitoriali e le coppie con figli. Nonostante la generale propensione a evitare impieghi rischiosi, negli ultimi mesi si registra però il ritorno a un profilo meno prudente nella collocazione del risparmio familiare, con un aumento tra il primo trimestre 2009 e il primo trimestre 2010 delle quote di fondi comuni d’investimento (+29,3%) e delle azioni e partecipazioni (+12,5%). Con la crisi, si registra una crescita del credito al consumo (+5,6% nel 2008 e +4,7% nel 2009), mentre il valore delle operazioni con carte di pagamento ha raggiunto complessivamente i 252 miliardi di euro nel 2009. Hanno contribuito soprattutto le carte di credito (+9% di operazioni rispetto al 2008), le carte prepagate (+23,6%), i bonifici bancari automatizzati (+1,3%). E mai come oggi, i consumi «obbligati» delle famiglie si sono attestati su un livello mai raggiunto in precedenza. Erano il 18,9% della spesa familiare complessiva nel 1970, il 24,9% nel 1990, il 27,7% nel 2000 e oggi superano il 30%.


Crescono le forme di pagamento cui non ci si puo’ sottrarre. Gli aumenti tariffari per il prossimo anno vengono calcolati in poco meno di 1.000 euro a famiglia. Poi ci sono i contributi aggiuntivi per le scuole dell’obbligo, le fasce blu per i parcheggi, le multe che sostengono le esangui casse dei Comuni, le revisioni di auto e caldaie, le parcelle per la dichiarazione dei redditi. Complessivamente, la stima della «tassazione occulta» elaborata dal Censis porta a 2.289 euro all’anno per una famiglia di tre persone. Impietosa è poi l’analisi che il Censis fa sugli effetti dell’economia irregolare, che dopo un lungo periodo di frenata, ha ripreso a crescere. A trainarla e’ stata la componente più invisibile, legata ai fenomeni di sottofatturazione e di evasione fiscale (+5,2%), la cui incidenza sul valore complessivo del sommerso raggiunge ormai il 62,8%. Di contro, il valore imputabile al fenomeno del lavoro irregolare resta sostanzialmente stabile (+0,1%) e la sua incidenza scende dal 38,4% al 37,2%. Ma gli italiani iniziano a guardare con preoccupazione al dilagare di questi fenomeni, su cui da sempre si e’ chiuso un occhio, anche per convenienza personale. Secondo un’indagine del Censis, il 44,4% degli italiani individua nell’evasione fiscale il male principale del nostro sistema pubblico, il 60% ritiene che negli ultimi tre anni l’evasione fiscale sia aumentata, il 51,7% chiede di aumentare i controlli per contrastare l’evasione. Tuttavia, di fronte a un esercente che non rilascia lo scontrino o la fattura, ancora piu’ di un terzo degli italiani (il 34,1%) ammette candidamente di non richiederlo, tanto più se questo consente di risparmiare qualche euro.


Ma non ci sono solo ombre. A fare da contrappeso agli intrecci perversi sono quelli virtuosi che vedono l’irrobustimento delle reti fra imprese. Nel 2010 sono state varate molte misure che incentivano la costituzione di forme di collaborazione fra imprese. Secondo una rilevazione del Censis, nelle aree distrettuali il dialogo tra tessuto produttivo, enti di formazione, strutture di ricerca, Confidi, centri servizi e’ cresciuto. Il 57% degli imprenditori intervistati si rivolge a laboratori di prova all’interno dell’area distrettuale, il 53% a strutture di formazione, quasi il 50% a un centro servizi per il distretto, il 43% a una struttura di coordinamento per le attivita’ di esportazione presente nel suo territorio. Altro capitolo è quello dei continui aggiustamenti del welfare mix. Le famiglie sono un pilastro strategico del welfare, caricandosi di compiti assistenziali, particolarmente gravosi per le situazioni più problematiche di non autosufficienza e disabilita’, di fatto sopperendo ai vuoti del sistema pubblico. Il numero delle persone disabili e’ stimato in 4,1 milioni. La presa in carico di queste situazioni riguarda le famiglie (i caregiver sono madri, coniugi e figli) e il ricorso alle badanti come soggetti principali dell’assistenza riguarda il 10,7% dei casi. Anche il volontariato continua a garantire una funzione strategica di provider di servizi in tempo di crisi. Secondo una recente indagine del Censis, un italiano su 4 (il 26,2%) svolge una qualche forma di volontariato. I settori nei quali si opera di piu’ sono la sanita’ (il 33% dei casi) e nel Sud l’assistenza sociale (il 32,7%). Intanto, il Paese si trova di fronte alla nuova sfida delle responsabilità diffuse, posta dal federalismo fiscale. Le amministrazioni locali (Regioni ed enti locali) raccolgono 250 miliardi di euro di entrate, ma di questi meno della metà proviene dall’azione tributaria, mentre il grosso (112 miliardi) è costituito da trasferimenti delle amministrazioni centrali. L’87,3% delle entrate dello Stato ha carattere tributario, ma solo il 37,1% nelle amministrazioni locali. E’ da questi dati e dalla valutazione sulla componente dei trasferimenti che potrebbe essere oggetto di riscossione diretta che il federalismo fiscale deve partire.