Rossi piange Bearzot: “Per tutti sono Pablitoma lo devo solo a lui”

Quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita. Paolo Conte lo scrisse di Bartali, e sarebbe stato perfetto anche per Enzo Bearzot. “Un italiano semplice, forte, schietto e popolare, amato da tutti, un grande italiano del ‘900”, è il tributo del suo uomo Mundial, Paolo Rossi. Senza il ‘Vecio’, non ci sarebbe mai stato Pablito. Lo dice la storia del calcio italiano, con quella scelta coraggiosa del ct di convocare Rossi in Spagna e di insistere su di lui al Mondiale. Lo ricorda l’uomo dei tre gol al Brasile, senza riuscire a trattenere le lacrime per la morte del ct campione del mondo. “Se sono diventato quel che sono, lo devo a lui: per me è stato un padre, ma per tutti è un grande italiano del ‘900. Nel calcio, il più grande”, ricorda l’ex azzurro. Rossi trattiene a stento l’emozione.

“Davvero, non ci riesco”, dice, interrompendo con un singhiozzo il flusso di ricordi e dolore. “È stato il più grande di tutti – riprende – perché aveva dei valori umani fortissimi. I suoi legami non si sonomai spezzati, con tutti i suoi ragazzi. Ma io per lui ero come un figlio, e lui per me come un padre. La sua, la nostra, è stata una storia straordinaria. Vorrei dire di un altro calcio, quando c’era passione ed amore”.

Tutti i tifosi italiani ricordano la chiamata dell’attaccante della Juve dopo sole tre partite di campionato, la squalifica del caso scommesse appena terminata; e ancor di più quel tris di sfide mondiali nel girone senza lo straccio di un guizzo, e gol personali neanche a parlarne. Bearzot con il numero 20 azzurro andò avanti per la sua strada, come sempre gli capitava. Dal Brasile in poi ebbe ragione. E nacque il mito di Pablito. “Me lo diceva sempre, stai sereno, tranquillo che il gol arriva – ricorda oggi Rossi – E poi, contrariamente all’immagine di un ct vecchio stampo, tutto difesa e contropiede, Bearzot aveva uno spessore tecnico enorme: conosceva a memoria ogni avversario, lo studiava ed era molto meticoloso. Così prima di ogni partita mi prendeva a parte, mi spiegava chi avevo di fronte, come attaccare la difesa, e in quale zona di campo giocare”. Una lezione tecnica e soprattutto di vita. “Con lui non davi il 100%, ma il 200 – continua Pablito – Sono sicuro, ci avrà pensato mille e mille volte prima di chiamarmi per la Spagna e ogni volta che mi doveva riconfermare in campo: ma io da lui ho sempre e solo avvertito grande fiducia, calore ed affetto”. Razza friulana, ricorda Rossi: “ Aveva un carattere anche rude, e nello spogliatoio sapeva essere duro. Ma era una rudezza sana, schietta. Ecco, onestà e schiettezza sono le due doti che tutti devono ricordare. Il nostro rapporto di fiducia nacque già nel ’78, Cabrini ed io eravamo i volti nuovi di quella bellissima Italia. E nei due anni prima dell’82, quando ero fermo, mi telefonava spesso”.

“Poi, quattro anni dopo il trionfo di Spagna – aggiunge rivelando un piccolo retroscena -, una volta mi chiamò: ‘Paolo, guarda che io ti porto in Messico in ogni caso, ma se continui a star così giù, mi sa che facciamo del male prima di tutto a te stessò. Ecco, questo era Bearzot: schietto, nel bene e nel male’. Così il legame è rimasto, ha attraversato anni e vecchiaia. “L’ho visto l’ultima volta un anno fa, ad Auronzo dove passava sempre le vacanze – ricorda ancora commosso Rossi – La malattia l’aveva segnato fin troppo, era più schivo del solito. Però che cultura, che voglia di parlare di tutto. Un uomo così non esiste più: perché non era uno scienziato né un artista, ma è stato l’italiano semplice e popolare, amato da tutti. Uno dei nostri grandi del ‘900”. Una storia a suo modo semplice e straordinaria.

LA CARRIERA DI BEARZOT

Mente del trionfo di Spagna ‘82, per 104 volte ct

Friulano di nascita, Enzo Bearzot, oppure il Vecio, il come era stato soprannominato, si è spento all’età di 83 anni. La sua è stata una vita dedicata al calcio: nato come mediano inizia la sua carriera da calciatore nella squadra del suo paese, Aiello del Friuli, ma qualcuno si accorge presto delle sue qualità e nel 1946 viene ingaggiato dalla Pro Gorizia, in serie B. Della sua carriera da calciatore si ricordano anche un’esperienza all’Inter, tre anni nel Catania e soprattutto le 164 presenze col Torino con cui costruisce la sua carriera. Una sola la presenza da giocatore con la maglia della nazionale. Appesi gli scarpini al chiodo, inizia la carriera da allenatore prendendo in mano la guida delle giovanili del Torino prima di diventare assistente di Nereo Rocco ed Edmondo Fabbri.

Dopo l’esperienza al Prato, arriva finalmente il primo impatto con la nazionale: nel 1969 viene ingaggiato come commissario tecnico dell’Under 23 che guiderà fino al 1975 prima del passaggio alla guida della nazionale maggiore con cui entrerà nella storia. Nel 1978 conquista il quarto posto nel Mondiale in Argentina, in cui nella prima fase riesce a battere anche i padroni di casa che si aggiudicheranno poi il trofeo. Ma la vera impresa arriva quattro anni dopo in Spagna dove l’Italia si laureò campione del mondo per la terza volta nella sua storia. Un traguardo memorabile, conquistato superando squadre come Argentina e Brasile, prima della Germania in finale, e soprattutto contro le feroci critiche della stampa italiana contro cui Bearzot inventò l’ormai famoso silenzio stampa. Poco felice il prosieguo della sua avventura da ct azzurro: nel 1986 in Messico l’Italia uscirà agli ottavi, eliminata dalla Francia, e Bearzot si dimetterà dopo 104 partite in panchina, record che tutt’ora resta imbattuto.

Prandelli: “Perso un grande maestro”

“Il calcio italiano perde il protagonista di una delle pagine più belle ed emozionanti della sua storia,ma soprattutto perde un maestro di calcio che della gestione del gruppo ha fatto una filosofia alla quale tutta la scuola di allenatori italiani continua a fare riferimento”. Così il commissario tecnico azzurro Cesare Prandelli ricorda Enzo Bearzot.

“Il formidabile successo del Mondiale in Spagna nell’82 è stata la logica conseguenza di un altro capolavoro, il quarto posto conquistato nell’edizione precedente, quella del ’78 in Argentina, con una Nazionale ricostruita dalle fondamenta sotto il profilo tecnico e soprattutto attitudinale – ha proseguito Prandelli -. Il coraggio delle sue scelte, delle quali hanno beneficiato giovani talenti del calibro di Cabrini, Rossi, Bergomi – solo per citarne alcuni – ai quali Bearzot dispensava consigli e fiducia, ci ha consegnato una generazione di campioni quasi senza eguali. Ci mancherà e mancheranno al calcio la sua saggezza, l’onesta e il buon senso”.