“La Collettività deve essere più propositiva e mirare a volare più in alto”

CARACAS – “La nostra comunità spesso non ha un ruolo propositivo. Ci sono associazioni regionali che dovrebbero fare di più, molto di più per mantenere i legami con le regioni di origine. Ma non lo fanno o non si impegnano abbastanza. Ho una grande tristezza e un grande rammarico per una collettività fatta di bei cervelli; insomma, di persone che, prese singolarmente, hanno posizioni di rilievo. Sono grossi imprenditori, eccellenti professionisti, straordinari medici. Alcuni, quelli più affermati, quelli che hanno ottenuto maggior successo, non partecipano alla vita della Collettività. Restano estranei, indifferenti a quanto accade in essa. Ed allora dico: rimettete le cose in ordine a casa vostra, fra di voi. Vi assicuro che le istituzioni avranno anche un maggiore interesse a restarvi vicini. Ve lo dico apertamente. E’ un mio consiglio”.

Parole dure, concetti che possono non piacere, anche ferire nel nostro intimo, ma espressi con franchezza ed onestà. E, proprio per questo, meritano una seria riflessione; un esame sincero, scevro di preconcetti, pregiudizi, pleclusioni. L’ambasciatore Luigi Maccotta ha affidato la sua analisi alle pagine della “Voce”, poche ore prima di lasciare il paese, dopo una missione diplomatica svolta in un momento particolarmente delicato per la vita istituzionale del Venezuela e di grandi cambi nel bilanciere della diplomazia nazionale e internazionale. Ma non è tutto, l’ambasciatore, nelle sue affermazioni, raccomanda di “volare alto, molto in alto”.

– Non perdetevi in inutili liti di condominio – esorta -. Fanno solo danno. Costruite un progetto. Cercate di essere più solidali con il Venezuela. Oggi il paese vive un momento particolare. Ha necessità nell’ambito sanitario, urgenze in quello dell’edilizia. Ed allora, perchè la collettività non offre il suo contributo? Proponga. Dimostri che può dare molto. Attivatevi. Siate propositivi. Questo è il miglior modo per tutelarvi. E’ un lavoro che tocca a voi, solo a voi. L’ambasciata, anche volendo, non può né potrà farlo.

Considera che questa è una responsabilità che compete, in primis, ai nostri rappresentanti. Quindi, assai critico, aggiunge che questi “non devono andare dall’ambasciatore, guardarlo negli occhi e chiedergli cosa fare”.

– Sono loro che devono sapere cosa fare – prosegue -. Altrimenti, bisogna cambiarli questi rappresentanti. Alla fine, questa diventa l’unica conclusione possibile. L’ambasciatore Maccotta considera che la reazione deve venire dalla base, dalla collettività, da noi stessi. Ed invita ad aprire un confronto, “in cui vengano esposte idee intelligenti, concrete, interessanti”. Sostiene: – L’importante è avere una posizione, una visione in positivo. Ma non sarà possibile senza una reale unità d’intenti. E’ ciò che veramente vorrei che venisse fuori dai nostri connazionali. E’ il discorso che farei se fossi un vostro rappresentante. O se aspirassi a presentarmi alle prossime elezioni. Ma non è il mio caso. Sono un funzionario e non un sollevatore di masse. Non è mio compito fare prediche.

Relazioni commerciali, investimenti, accordi e piccole e medie imprese. Era inevitabile che la conversazione scivolasse verso questi temi. Ancor più, in presenza degli echi di importanti accordi firmati dall’Eni con Pdvsa. La holding italiana ha conquistato gli onori della cronaca e si è assicurata lauti guadagni. Certo, che una multinazionale italiana riesca a rafforzare la propria posizione nel paese, dopo una fase di disamore e di conflitto, è sicuramente motivo di orgoglio; ma è un orgoglio accompagnato da una domanda più che lecita: – La nostra comunità imprenditoriale quali benefici trae dai buoni rapporti tra Eni e Pdvsa. Insomma, cosa ci guadagna?

– Che si decida un investimento così importante, così strategico è significativo per il Venezuela – commenta l’ambasciatore -. E lo è naturalmente per l’Eni che assume un rischio calcolato sul lungo periodo. Per la prima volta, dopo 50 anni, il Venezuela decide di costruire una raffineria. E’ un’avvenimento di grande rilevanza. Quando si siglano accordi di questa indole, credo che ci siano effetti benefici per tutti, ricadute positive per la comunità, per il rapporto politico, per la popolazione. E’ una garanzia ed una tutela in più.

– Certo, per l’Eni e per l’Italia il ritorno, in termini di benefici economici, è quantificabile. E per la nostra comunità?

Risponde convinto, senza indugi: – Crea la consapevolezza, nel governo venezolano, che l’Italia è un tutt’uno. Dimostra che tra la nostra comunità, il governo italiano e gli imprenditori italiani c`e un filo conduttore. E’ il filo conduttore della solidarietà. Se non ci fossero queste considerazioni, la comunità sarebbe esposta, molto più esposta. – Non crede che se non ci fosse una comunità intraprendente e stimata, per l’Eni sarebbe stato tutto in salita il cammino verso la firma dell’accordo? La presenza di una comunità come la nostra non ha permesso alla holding italiana di seminare in un terreno fertile?

– Questa è una realtà che nessuno nega – ammette per poi sottolineare: – E’ stato riconosciuto più volte. Nel mio discorso di commiato ho detto chiaramente che il ruolo di Ambasciatore, che rappresenta il governo italiano, è rafforzato in quei paesi in cui risiede una nostra collettività.

Sostiene che l’ambasciatore, in Venezuela, è importante in quanto nel Paese “è presente una comunità che lo stesso Presidente Chávez conosce ed alla quale attribuisce grossi meriti”. E commenta: – Questa è una collettività che si è guadagnata la simpatia, la stima, l’amicizia, la fratellanza dei venezolani. A tutti gli effetti, è parte integrante del tessuto sociale del paese; è parte integrante di questa nazione che ha contribuito a costruire, crescere, diventare più moderna. La prima pietra è questa: la collettività. A partire da essa, poi, si sviluppano i rapporti classici tra paesi: quelli di collaborazione, di coooperazione.

Evidenzia l’interesse del Venezuela verso il “settore salute, nel quale l’Italia può offrire tanto” ma sottolinea anche “l’attenzione dell’Italia verso le materie prime di cui il Venezuela è assai ricco”. – Per cui – prosegue – diciamo pure che, sulla base della vostra presenza, sono andati creandosi tra Italia e Venezuela rapporti che si sono consolidati nel tempo. E questi rapporti permettono di superare ostacoli, di far fronte alle tante difficoltà del momento. Il governo italiano ha già detto espressamente di voler rispettare questo esperimento di trasformazione del Paese, che il presidente Chávez sta guidando. Ecco questa è la parola chiave: rispetto. Rispetto, torno a dire, ma anche attenzione, nella consapevolezza che ci sono interessi italiani che vanno tutelati. E quando parlo di interessi lo faccio in senso lato: collettività e imprese. Ogni qualvolta accade qualcosa a un cittadino italiano o italo-venezolano, l’Italia si mobilita. Che sia un sequestro, un esproprio, una confisca o una nazionalizzazione, la Farnesina si attiva. Forse ci può essere qualche rimprovero, qualche rammarico, anche la sensazione che i risultati ottenuti non siano quelli sperati… – I paragoni, lo sappiamo, sono sempre antipatici ma è difficile evitarli. In seno alla nostra collettività, è diffusa la convinzione che altri paesi, ad esempio la Spagna, agiscano con maggior decisione nella tutela degli interessi della loro comunità residente in Venezuela.

– Se mi permette – reagisce con fermezza l’ambasciatore Maccotta -, questa è una leggenda metropolitana. E’ assolutamente falso che gli spagnoli siano trattati meglio degli italiani. E’ falso. Ed è falso se si pensa che la Spagna riesca a far meglio dell’Italia.

– Forse non saprà far meglio, ma si ha la sensazione di un maggior interesse per la propria comunità. – Perchè? – si chiede -. Non mi sembra affatto. Ogni qualvolta ascolto Zapatero o il ministro degli Esteri spagnolo, mi pare di udire espressioni, parole costruttive nei confronti del Venezuela. Mai critiche, mai accuse. La Spagna non è superiore all’Italia.

– Sicuramente no, ma forse per quel che riguarda la propria comunità in Venezuela… – Lo sport preferito degli italiani è l’autodenigrazione – commenta -. Noi, invece, dobbiamo essere orgogliosi di essere italiani.

– Si può essere orgogliosi, e sicuramente la nostra comunità lo è, ma anche critici… – Dobbiamo essere orgogliosi del nostro governo, qualunque esso sia – prosegue -. Ed invece ci facciamo del male. Noi italiani – insiste – abbiamo la mania di piangerci addosso e pensare, ad esempio, che siamo l’unico Paese che sta male. Ma ce ne sono tanti altri che stanno peggio.

– Perchè specchiarci in chi sta peggio di noi? Perchè non guardare, anche con invidia perchè no, a quei paesi che stanno meglio? – Si, va bene, ma denigrarsi non serve a nulla – ci dice -, assolutamente a nulla. Insicurezza, sequestri. Questi sono, purtroppo, temi che emergono con forza, oseremmo dire con prepotenza ogni qualvolta si parla del Venezuela e della nostra Collettività. Nei saloni dei nostri centri sociali, nei bar, al lavoro, prima di entrare al cinema, sono questi, sovente, il ‘leit motive’ di accese discussioni. Perchè mai l’intervista con l’Ambasciatore Maccotta dovrebbe essere l’eccezione? Ed è inevitabile parlare di insicurezza, di sequestro senza ricordare all’ambasciatore una delle richieste più insistenti della nostra Collettività: la presenza di un secondo esperto antisequestro che possa operare nella circoscrizione consolare di Maracaibo. – Il secondo esperto antisequestro – sostiene il diplomatico – si potrà avere solo se ci saranno cambi nei contingenti all’estero.

– La richiesta di un secondo esperto non è un capriccio ma una necessità, visto l’incremento di questo tipo di delitto del quale anche gli italiani del Venezuela sono vittime. Il sequestro richiede l’intervento immediato dell’esperto. Un solo ispettore, nonostante l’indiscussa buona volontà e professionalità, non può controllare un territorio così amplio come quello del Venezuela. Ci sono poi altri problemi che richiedono ugualmente un’azione immediata. Ad esempio, l’assistenza sociale…

Indugia. Dopo una attimo di esitazione, ci dice: – Sull’assistenza… quel che viene meno è solo la “Polizza-Rescarven”. – Le pare poco? – La “Polizza-Rescarven” – spiega – è stato un esperimento che dura da due anni. Certo, nessuno nega che ha aiutato. Credo, comunque, che le questioni non vadano mai generalizzate. E’ necessario un esame molto rigoroso dei risultati ottenuti. Psicologicamente, l’esistenza di una polizza sanitaria era motivo di sicurezza. Insomma, una garanzia, una tranquillità. Adesso, si torna al sistema precedente e sicuramente ci saranno fondi aggiuntivi. C’è consapevolezza nel ministero degli Esteri che sarà necessario fare qualcosa per sostituire le polizze, per andare incontro ai più bisognosi.

Sostiene che ci sono stati incontri con rappresentanti del Comites e del Cgie e assicura che il tema è stato discusso abbondantemente. – Sono stati informati i rappresentanti delle nostre associazioni? Sono stati ascoltati i loro suggerimenti? – I rappresentanti della comunità sono loro, i membri del Comites e del Cgie – precisa -. Li avete eletti voi. Ed è con loro che stiamo cercando soluzioni, alternative che funzionino. Ci sono state indicate alcune strutture che possono offrire piani di salute integrale. Cercheremo di costruire un nuovo sistema che entrerà in vigore da gennaio, quando sarà venuta meno la vecchia struttura. E, sono sicuro, sarà capace di venire incontro alle necessità delle persone che costituiscono i ceti meno abbienti della collettività. Saranno firmati accordi con strutture ospedaliere e sanitarie e convenzioni con farmacie.

– Con quali risorse verranno affrontate le spese? – Con quelle relative ai capitoli di spesa destinati all’assistenza sanitaria – spiega -. Quali saranno le cifre non lo posso dire. Non lo so. Comunque, le risorse ci saranno. Mancherà la “Polizza Rescarven”, ma quel vuoto verrà colmato. – Mi pare di capire che il denaro destinato alle “Polizze-Rescarven” sarà investito in altri strumenti di assistenza, perchè cambiare?

– Quello che viene meno – reitera – è la possibilità di stipulare una polizza, solo quello. Viene meno uno strumento che, dalle statistiche in nostro possesso, sembra che non venisse usato. Insomma, che era improduttivo. – Non c’è da rallegrarsi? Vuol dire che i nostri connazionali, quelli che non hanno avuto fortuna nella vita, godono di buona salute.

– Assolutamente – afferma, per poi insistere: – Comunque, il sistema che verrà applicato sarà più effettivo ed efficiente. Certo, non nascondo che le polizze danno più sicurezza, una maggiore tranquillità in quanto il connazionale sa che, se gli accade qualcosa, è assicurato. – E’ agire con prudenza, c’è uno spot pubblicitario di una compagnia assicuratrice che afferma: è meglio averla e non averne bisogno che averne bisogno e non averla…

– Lo so, ma oggi non possiamo permettercelo – afferma con chiarezza -. La volontà del governo è di precisare le necessità reali: là dove c’è bisogno di medicine, là dove c’è bisogno di un intervento ospedaliero si interverrà. Si pagherà. Ecco, questa è la differenza, avremo una maggiore effettività ed efficienza. – Le spese comunque continueranno ad esserci…

– E’ curioso – sostiene -, si parla delle “Polizze-Rescarven” come se fossero sempre esistite. Sappiamo che non è così. Sono state contrattate da soli 2 anni. E’ un progetto pilota che è stato a malapena sottoposto a rodaggio. Ora, si è modificato per renderlo più efficente. Non si prosegue con quel sistema non per cattiva volontà ma perchè non è più possibile. L’Italia, non ce lo dimentichiamo, ha il 116 per cento di debito rispetto al Pil. E’ il secondo paese, mi pare, dopo la Grecia. Ed allora cosa fare? E’ vero, bisogna pensare ai nostri anziani, ma anche ai nostri giovani…

– Certo, i tagli lineari non sembrano la miglior soluzione. – I tagli – commenta – purtroppo si fanno così. Il ministro Tremonti ha detto chiaramente che questo è il modo più spedito per incidere sul deficit. Poi, il governo vedrà se potrà fare qualche ritocco nei settori più penalizzati. La legge di Stabilità ha permesso di superare, di affrontare la crisi dell’euro. Ci ha assicurato una certa tenuta che altri paesi oggi non hanno.

– Perchè compararci sempre con chi sta peggio? Perchè non con chi sta meglio, magari con la Germania? – E’ un lusso compararci con la Germania – afferma per poi precisare: – Non si tratta di cattiva volontà o crudeltà mentale da parte del Governo,. Anch’io sono vittima dei tagli… E poi – sostiene giustamente -, non sono io il ministro del Tesoro. Sono un semplice ambasciatore.



Le difficoltà




Difficoltà. Quelle non mancano mai. Alcune sono di facile soluzione; altre, invece, insormontabili. E pesano come un macigno nel nostro desiderio di successo, nella necessità di sentirci appagati, soddisfatti del nostro lavoro. Chiediamo all’ambasciatore Maccotta quali i disagi, quali le complicazioni che, nel caso della sua missione, si è trovato ad affrontare. Risponde dopo una breve riflessione.

– La maggior difficoltà, non solo la mia ma di tutti i diplomatici – confessa -, è l’accesso al governo. E’ complicato ottenere da un ministro una risposta, un appuntamento, un colloquio. E’ un fatto sistemico. Mi sono raffrontato con tutti i colleghi, veramente con tutti. Ebbene, mi hanno manifestato la stessa difficoltà che ho dovuto affrontare durante la mia missione. Spiega che, per definizione, un ambasciatore deve potersi confrontare, incontrare le autorità del paese in cui è accreditato.

– Quando abbiamo avuto la fortuna di interloquire con un ministro – assicura – sono stati fatti notevoli passi avanti. Una volta che si riesce a parlare di un tema, sia esso delicato o anche, tra virgolette, negativo, come magari una petizione; sia esso positivo, come ad esempio una proposta di collaborazione, magari nel campo sanitario, si riscontra ricettività e tanto interesse. Poi, manca il colloquio, la continuità che solo può essere assicurata dal dialogo costante. Questo, direi, è ciò che più mi ha fatto soffrire ed anche ciò che più mi è dispiaciuto: la difficoltà di accesso alle autorità. Auguro di cuore al mio successore di avere maggior fortuna. Sottolinea che non vi è, nel modo di agire delle autorità venezolane, una “volontà discriminatoria”. Osserva che è responsabilità del“ sistema che è organizzato in questo modo”. Quindi, senza nascondere la propria soddisfazione, afferma che non vi sono state questioni spinose, argomenti delicati, richieste complesse che non siano stati affrontati con impegno e professionalità nel desiderio di offrire la risposta adeguata. – Insomma – aggiunge -, ci siamo adoperati per fare del nostro meglio. Abbiamo agito per senso del dovere e con piacere.

– Vi è toccato di fare la ‘voce grossa’ per farvi ascoltare? – Sì – confessa -. E’ accaduto. Ci sono state occasioni in cui ho chiesto con fermezza, con più fermezza del solito. Ma fa parte del nostro lavoro. Non sarei un buon ambasciatore se non sapessi dosare l’approccio “soft”, cortese, con un tono di fermezza, soprattutto quando si tratta di difendere gli interessi dell’Italia, della mia nazione. – Quanto ha pesato la presenza della nostra Collettività? Ha ottenuto il conforto del suo sostegno? – Secondo me – afferma con rammarico – si potrebbe fare di più. Di più e anche meglio. Io credo molto nella Collettività

– In seno alla nostra Collettività, si è commentato spesso di un distacco, di una certa freddezza della nostra Ambasciata… – Il mio – spiega – è un ruolo politico. Quindi, assai diverso da quello del Console. Il Console viaggia spesso in provincia, visita le comunità, cura le sue relazioni con gli italiani residenti nel Paese. Insomma, c’è il rispetto del ruolo che ognuno di noi ricopre. L’intervista si svolge in una delle sale della residenza dell’ambasciatore Maccotta. Ormai è spoglia di ogni cosa. Accanto al diplomatico una arzilla cagnetta che dopo la curiosità iniziale per l’ospite inatteso siede accanto al padrone, vigile di ogni suo movimento.

– Cosa consiglierebbe al suo successore? – Pazienza, molta pazienza – afferma -. E’ importante comprendere. Quando si è ospiti, ed un diplomatico lo è, non bisogna mai pretendere. E’ necessario avere le capacità di entrare nei meccanismi mentali delle persone. In alcuni Paesi, questi meccanismi sono rigidi. Ricordo che in Giappone era indispensabile addirittura imparare come presentarsi, se si voleva essere presi in considerazione. Lì ci sono meccanismi assai rigidi, che si devono seguire senza commettere errori. In Venezuela, sembra sia più facile relazionarsi. Ma anche così, esistono codici, regole.

Commenta che forse in Venezuela l’aspetto più caratteristico è il “rapporto personale”. – E’ senz’altro un Paese in cui è indispensabile conoscere le persone giuste – sostiene -. Insomma, quelle che veramente contano. Purtroppo, si difetta di continuità. Accade spesso che una volta instaurato un rapporto di amicizia con un ministro o un viceministro questi assuma un altro incarico. Ed allora è necessario cominciare “ex novo”. E poi bisogna cercare di restare neutri. Il Venezuela è un paese che invita, trascina alla diatriba. E’ polarizzato. Ti seduce in questo suo confronto politico intenso, appassionato. Ed un ambasciatore non può, non deve farsi trascinare. Insomma, non può essere chavista o anti-chavista. Deve, appunto, essere ambasciatore.
M.B.