Legittimo impedimento e referendum, destini incrociati

ROMA – E’ una complessa partita ad incastro quella che tra martedì e giovedì prossimi si apre alla Corte Costituzionale. Perchè all’esame dei giudici delle leggi non arriverà solo il ‘legittimo impedimento’ (lo ‘scudo’ che almeno fino all’ottobre mette al riparo il premier Silvio Berlusconi dalla ripresa dei processi Mills, Mediatrade e Mediaset a suo carico) ma anche la spinosa decisione sui referendum. In tutto sei quesiti: quattro per l’abolizione delle norme che ‘privatizzano’ l’acqua, uno dell’Idv contro il nucleare e infine uno per l’abolizione totale del ‘legittimo impedimento’. Il destino di quest’ultimo referendum – anch’esso promosso dal partito di Di Pietro – è strettamente legato all’esito del giudizio di costituzionalità della legge sollecitato dai giudici di Milano dinanzi ai quali Berlusconi è imputato.


In ambienti di Palazzo della Consulta si dà praticamente per certa l’ammissibilità del quesito sullo ‘scudo’ su cui i giudici dell’Alta Corte sono chiamati a pronunciarsi mercoledì 12, all’indomani dell’attesa udienza pubblica sul ‘legittimo impedimento’. Ammesso e non concesso che la Corte dia il via libera al referendum sullo ‘scudo’, non è detto che questo sarà sottoposto al voto popolare in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi.


Gli scenari possibili sono tre. La Corte ammette il quesito di Di Pietro ma al contempo, nel corso di una delle camera di consiglio previste dal pomeriggio di martedì 11 a giovedì 13, boccia ‘in toto’ il ‘legittimo impedimento’: in questo caso niente voto popolare perchè di fatto la norma è stata cancellata dalla stessa Corte. Se invece la Consulta dà disco verde al referendum ma dichiara l’illegittimità parziale della legge, allora spetta all’ufficio centrale della Cassazione decidere sull’interesse allo svolgimento o meno della consultazione. Infine, nel caso di una decisione di infondatezza o di una sentenza interpretativa di rigetto sul ‘legittimo impedimento’ (ipotesi circolata recentemente e grazie alla quale la legge avrebbe un sostanziale via libera a patto che sia il giudice, di volta in volta, a verificare la sussistenza dell’impedimento), allora il referendum si terrebbe senza dubbio.


Al di là del tecnicismo, i diversi scenari possibili avranno senza dubbio ripercussioni non solo sul destino giudiziario del premier, con la ripresa dei tre processi a suo carico, ma anche su una maggioranza messa in fibrillazione dall’aut aut leghista sul federalismo. In ambienti di Palazzo della Consulta sono in pochi a ritenere che la legge passerà del tutto indenne il vaglio della Corte. E anche un’eventuale sentenza ‘interpretativa di rigetto’ rappresenterebbe una soluzione di compromesso in grado di salvaguardare più che altro i precari equilibri di una Corte in bilico (il lodo Alfano è stato bocciato nel 2009 per nove voti contro sei; il nuovo presidente della Corte, Ugo De Siervo, è stato eletto il mese scorso con un solo voto di scarto). Di fatto una soluzione del genere sarebbe per Berlusconi una ‘vittoria di Pirro’, perchè è vero che il ‘legittimo impedimento’ resterebbe in piedi, ma solo se interpretato affidando la sua verifica, caso per caso, a quei giudici di Milano da cui il premier si sente perseguitato. E, cosa ben peggiore, la legge che al momento garantisce per altri 10 mesi il rinvio dei processi del premier verrebbe sottoposta al voto popolare nella prossima primavera-estate. Un destino incrociato, appunto.