Banche centrali al bivio fra inflazione e rigore

BASILEA – La ripresa negli Stati Uniti stenta ancora e in Europa il ritorno dell’inflazione oltre la fatidica soglia del 2%, seppure da alcuni vista solo come una ‘fiammata’ di fine anno, potrebbe mettere le banche centrali europee e la Bce di fronte al bivio fra la custodia della stabilità dei prezzi, principale mandato dell’istituto di Francoforte e il rigore sui conti pubblici viste le crescenti pressioni del mercato che sta prendendo di mira il Portogallo.


Nella prima riunione del 2011 della Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, i temi non sono nell’agenda ufficiale ma di certo l’evento che vede riunire i banchieri centrali europei e i loro omologhi di mezzo mondo cade nell’ennesimo momento difficile della crisi che entra nel suo quarto anno. La sfida maggiore attende la Bce certo, ma anche i banchieri centrali di altri paesi come gli Stati Uniti o il Brasile e persino la Cina seppure con problemi e posizioni diversi, vedono sempre più difficile un’uscita, se non veloce, composta da una crescita sostenibile e ordinata. A dimostrarlo sono gli ultimi dati sull’occupazione americana, non particolarmente brillanti nonostante la massiccia liquidità che la Fed continua a immettere nel sistema.

Per il presidente Ben Bernanke i segnali di ripresa sono lievi ma servono 4-5 anni per normalizzare il mercato del lavoro. E in Europa presidente dell’istituto di Francoforte Jean Claude Trichet, che riunirà il suo board il prossimo 13 gennaio, è alle prese ora con rialzo dei prezzi al 2,2% a dicembre frutto certo di un balzo dell’energia e degli alimentari ma segno anche di una discrasia fra la velocità della crescita dei diversi paesi di Eurolandia. Un solco sempre più profondo con Trichet che ha ammonito di non voler finanziare ab libitum l’irresponsabilità degli stati provocando il ritorno dell’inflazione.


E proprio su uno dei ‘periferici’, il Portogallo nelle ultime ore il mercato sta intensificando le pressioni secondo uno schema oramai classico che, con un ‘crescendo’ rossiniano, inizia da un rialzo del rischio paese espresso dai cds, dal differenziale con il Bund tedesco e da voci di pressione, filtrate alla stampa, dei governi di Parigi e Berlino (voci peraltro smentite) affinchè Lisbona accetti un piano Fmi simile a quello di Grecia e Irlanda.
L’esecutivo portoghese che ha appena varato una finanziaria ‘lacrime e sangue’ bipartisan, ha subito smentito, memore anche dei duri sacrifici imposti al paese negli anni ‘70. Un clima certo non sereno per le aste dei titoli di stato portoghese di questa settimana che con ogni probabilità vedranno un ulteriore aumento dei tassi, già ora a livelli da alcuni ritenuti insostenibili per un paese a bassa crescita.

La resa del Portogallo lascerebbe solo la Spagna fra quei paesi chiamati dagli anglosassoni ‘Pigs’ (Portogallo, Irlanda, Grecia e appunto Spagna) ad affrontare la bufera dei mercati. Un boccone che però, per le sue dimensioni, sarebbe troppo difficile da digerire per il fondo salva stati Ue e che , nell’opinione di molti, imporrebbe un default controllato.BCEBanche centrali al bivio fra inflazione e rigore