Assange, per i legali vi è il rischio che finisca a Guantanamo

LONDRA – Non sono possibili violazioni dei “diritti umani” o estremismi derivati da ragioni politiche – pur considerati un “rischio reale”, come la “deportazione” a Guantanamo. La strategia difensiva dei legali di Julian Assange, capeggiati da Mark Stephens e Geoffrey Robertson, punta infatti anche su errori o forzature “procedurali” nonché l’abuso dello strumento del mandato di cattura europeo.


Nella bozza – ancora provvisoria – si legge ad esempio che il PM svedese Marianne Ny non potrebbe “spiccare la richiesta di arresto” poiché, stando al sistema vigente in Svezia, questo é compito del National Police Board. Una formalità che, in teoria, renderebbe nullo il mandato “ab initio”.
Entrando nel merito del caso si scopre poi che Julian Assange non è stato ancora incriminato ufficialmente d’alcunché, visto che il PM si “riserva la facoltà di procedere con le accuse”.


La circostanza viene confermata dalla corrispondenza con le autorità consolari australiane. L’emissione di un mandato di arresto europeo per ascoltare la versione dei fatti di Assange” è quindi vista dai suoi legali come una distorsione del mandato stesso. “Il mero sospetto – si legge nel documento – non dovrebbe dar vita a una richiesta di estradizione”.


A questo riguardo, poi, i legali notano come Assange si sia offerto svariate volte di sottoporsi a interrogatorio “via telefono, Skype o tramite colloquio all’ambasciata svedese” ottenendo sempre un rifiuto.
Le autorità svedesi si sarebbero poi macchiate di azioni “illegali” rispetto allo stesso codice di procedura penale svedese. Tra di queste viene elencato il rifiuto di mettere a disposizione di Assange gli atti in lingua inglese, di aver passato ai reporter del Guardian estratti di documenti riservati “col preciso intento di rovinargli la reputazione in Gran Bretagna e altrove”, di negare l’accesso ai suoi legali “di SMS e messaggi Twitter” che ‘distruggerebbero’ la credibilità delle denunzianti.


La memo si chiude ricordando le invettive lanciate dall’ex candidato alle primarie repubblicane del 2008 Mike Huckabee (che ha chiesto la testa di Assange per il Cablegate) nonché quelle di Sarah Palin, la quale lo vorrebbe vedere braccato “come un capo talebano o di Al Qaida”.
Per i suoi avvocati allora è “molto reale” il rischio che Assange finisca a Guantanamo o negli Stati Uniti con un capo d’imputazione che prevede la pena di morte.