Pausa caffè: «Fa bene al lavoro!». Ma se c’è anche la ex sono guai

ROMA – La ‘pausa caffè’, come tutte quelle finalizzate al recupero delle «energie psico-fisiche’» fanno bene al lavoro in quanto, dopo la pausa, segue un «migliore espletamento del servizio». Lo sottolinea la Cassazione precisando però che tra le ‘pause lavoro’ non sono «omologabili alle finalità di ristoro» quelle fatte «per scopi familiari».

In questo modo la I sezione penale ha bocciato il ricorso di un maresciallo dei carabinieri della stazione di Chiavari che, durante l’orario di servizio, si era assentato per un quarto d’ora per andare a parlare con la ex moglie sull’eventuale vendita della casa comune. Il maresciallo Massimo B. è stato condannato dalla Corte militare d’Appello di Roma, nel giugno 2010, a due mesi e 20 giorni di reclusione per il reato di violata consegna aggravata.

Inutilmente il carabiniere si è rivolto alla Cassazione sostenendo da una parte che non c’era stato abbandono dell’itinerario di servizio, poiché la residenza della ex moglie rientrava in quello prescritto dall’ordine di servizio; dall’altra ha fatto presente anche che si era trattato di una pausa assimilabile a quella per un caffè al bar.

Piazza Cavour (sentenza 4509) ha respinto la linea difensiva del carabiniere e ha evidenziato che «la Corte di merito, con motivazione adeguata e coerente, ha ravvisato nella sosta attuata dall’imputato per scopi familiari, in un contesto di separazione, una finalità non omologabile a quelle di ristoro e, in genere, di rafforzamento delle proprie energie psico-fisiche utili al migliore espletamento del servizio».

Non pertinente poi è stato ritenuto dalla Cassazione «il richiamo difensivo delle soste al bar per un caffè» in quanto, insiste la Cassazione, la pausa per motivi personali è stata «concretamente ostativa al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza sul territorio».