Egitto: finisce l’era di Mubarak, esplode la gioia in piazza

IL CAIRO – Quaranta parole, pronunciate tutte d’un un fiato, hanno chiuso trenta anni di regime di Hosni Mubarak. Lo scarno comunicato letto dal vicepresidente Omar Suleiman, scelto solo qualche giorno fa per dare un segnale di rinnovamento alla piazza, ha chiuso un’epoca, ha dato il sigillo alla rivoluzione del Nilo e messo fine a un’altalena di aspettative e delusioni che hanno investito la piazza, ma anche le potenze occidentali, che hanno seguito dall’inizio la rivolta egiziana.


”Cittadini, in nome di Dio misericordioso, nella difficile situazione che l’Egitto sta attraversando, il presidente Hosni Mubarak ha deciso di dimettersi dal suo mandato e ha incaricato le forze armate di gestire gli affari del paese. Che Dio ci aiuti”, ha detto Suleiman alla televisione di Stato qualche minuto dopo le 17 ora egiziana.


La piazza, gonfia di manifestanti e di rabbia per il discorso pronunciato solo ieri sera dal rais, nel quale non accennava a dimettersi, è esplosa in un boato liberatorio di gioia. L’annuncio ha chiuso diciotto giorni di proteste e battaglie anche violente che hanno provocato più di trecento morti e i festeggiamenti si sono impadroniti delle strade e delle piazze egiziane, dove migliaia di persone sono scese con bandiere nazionali, cantando e ballando. L’annuncio del passaggio dei poteri presidenziali al Consiglio supremo di difesa è giunto dopo una giornata di grande tensione e di incertezza. I manifestanti, che oggi sono ritornati in piazza in tutte le città d’Egitto a milioni, si aspettavano l’uscita del rais già da ieri sera, secondo le voci e le indicazioni insistenti provenienti anche dagli Usa. Ma Mubarak ha gelato tutti, rinnovando le sue promesse sulle riforme costituzionali e su un suo passo indietro dalle prossime presidenziali, ma senza annunciare le sue dimissioni.


In mattinata il Consiglio supremo delle forze armate, riunito ad oltranza, ha emesso un nuovo comunicato nel quale si faceva garante dell’attuazione delle riforme e dello svolgimento di elezioni libere e trasparenti. Ma anche questo non è bastato ai manifestanti, che si sono sparsi a macchia d’olio presidiando come sempre piazza Tahrir, ma spostandosi a migliaia anche al palazzo presidenziale di Heliopolis, che Mubarak ha lasciato questa mattina con la famiglia per recarsi nella località sul mar Rosso di Sharm El Sheikh.


L’annuncio ha chiuso l’epoca Mubarak, ma non ha fatto alcuna chiarezza sul futuro, tranne indicare che la gestione del paese è affidata per il momento al Consiglio supremo delle forze armate preseduto dal ministro della Difesa Mohamed Hussein Tantawi, vicino a Mubarak in tutta la sua carriera di militare e quindi di ministro. Il Consiglio supremo ha fatto sapere questa sera di essere consapevole della gravità e della pericolosità della situazione e di essere al lavoro per realizzare le aspirazioni del popolo. Che cosa questo significhi non è ancora chiaro. Secondo la televisione satellitare Al Arabiya una delle prime mosse del Consiglio sarà di sciogliere il Parlamento e di nominare un nuovo primo ministro. Fra gli analisti qualcuno fa il nome dell’attuale presidente della Corte costituzionale Faruk Sultan, mentre rimane ancora incerto il destino di Suleiman.


L’uscita di scena di Mubarak naturalmente suscita commenti positivi dai leader delle opposizioni come Mohamed el Baradei e dal segretario generale delle Lega Araba Amr Mussa. Perfino i Fratelli musulmani, il più grande e organizzato partito di opposizione, illegale dal 1974, hanno salutato con favore il ruolo dell’esercito, considerato determinante nella spallata finale al regime. Ma ora aspettano di vedere le prime mosse del Consiglio supremo delle forze armate.


Il tramonto dell’ultimo faraone


E’ il primo faraone della storia egiziana a lasciare il potere ancora in vita. Ci credano o no, gli egiziani sono riusciti, con 18 giorni consecutivi di proteste, oltre 300 morti e migliaia di feriti a mandare via il presidente Hosni Mubarak, 83 anni il 4 maggio prossimo, a pochi mesi dal compimento di 30 anni ininterrotti al comando.


Fu nominato alla presidenza dopo la tragica morte di Anwar Sadat, accanto al quale era in piedi sulla tribuna per assistere alla celebrazioni dell’anniversario della ”vittoria” del 6 ottobre 1973, quando un membro della Jamaa Islamiya, il tenente Khaled Al Islambouli, scese da un camion e cominciò a sparare col suo kalashnikov contro Sadat, uccidendolo.


Vicepresidente dal 1975 (forse fu uno dei riconoscimenti per il suo prezioso contributo militare alla famosa guerra dello Yom Kippur contro Israele, del ’73), pare proprio che l’allora poco più che cinquantenne Hosni Mubarak non si aspettasse affatto di assumere l’alto incarico di guidare il paese, e neppure che sarebbe successo così presto. I suoi primi mesi al potere, infatti, furono molto cauti e l’unico dato certo fu l’emanazione della legge sullo stato di emergenza, che in questi ultimi tempi è stata uno dei fattori scatenanti della ‘rivolta di piazza Tahrir’, da alcune reti tv battezzata anche ”the revolution”.


Altro dato certo della storia della presidenza di ”papà Hosni” (proprio ieri aveva detto nel suo ultimo discorso, controverso e inatteso per i suoi contenuti, di parlare ”da padre ai figli”) riguarda i suoi contributi agli sforzi per il ”processo di pace” israelo-palestinese, anche se all’interno della Lega Araba non poche erano state le riserve su un reale impegno dell’Egitto in questo senso. Ma anche la sua presa di distanza da Saddam Hussein ai tempi dell’invasione del Kuwait e della successiva operazione ‘Desert Storm’, che gli valse l’allontanamento del paese dalla Lega Araba per cinque anni.


Fu solo nel giugno 1996 che i 22 paesi aderenti all’organizzazione decisero di tornare a riunirsi al Cairo, in un vertice fortemente connotato da toni anti-israeliani e anti Netanyahu, per la prima volta nominato premier a Tel Aviv poche settimane prima. E la sua lotta tenace al terrorismo. Forse il faraone non meritava le scarpe che ieri sera si sono levate da piazza Tahrir contro di lui, massimo segno di disprezzo per il mondo arabo, non appena ha confermato con arroganza alla tv di rimanere ancora in sella, pur passando i poteri al fidato Omar Suleiman, che pochi giorni prima aveva nominato vicepresidente, superando un disagio per il quale non aveva mai voluto rispettare l’articolo della costituzione che prevedeva questo incarico.


Voce popolare diceva che non l’aveva mai fatto per timore che quell’incarico potesse preludere alla sua disfatta. Ma a costargli cara è stata con molta probabilità, dicono osservatori indipendenti, proprio quella sua impuntatura per rimanere al comando, in stile ostinatamente militare, dopo che per tutta la giornata di ieri si erano susseguite voci e dichiarazioni di fonti che davano quasi per certe le sue dimissioni entro la serata. La giornata di oggi era cominciata nel segno di quella dichiarazione e nel timore che la grande manifestazione annunciata per questo venerdì potesse indurre una reazione energica dei soldati e dei carri armati schierati fino a ieri quasi esclusivamente a proteggere i manifestanti (denunce di atti di segno contrario sono giunte però da enti umanitari nei giorni scorsi), per fermare dimostranti che volevano raggiungere il palazzo presidenziale. Il comunicato n. 2 del Consiglio Supremo delle Forze Armate diffuso stamani apriva indirettamente la porta a questi sviluppi e voci preoccupate si sono levate da piazza Tahrir e in tv per convincere il rais a lasciare, perchè ”sarebbe stato responsabile delle anime che sarebbero state perdute” se ci fossero stati scontri con l’esercito.


Non si sa se siano state queste parole a convincere il faraone a salire alle 14 su un aereo che lo ha portato a Sharm el Sheikh, o se i vertici delle forze armate abbiano deciso di metterlo di fronte alla necessità di andar via, dato il numero incredibile di persone che continuava ad affluire a Tahrir e, secondo alcune fonti, non confermate dalle immagini tv, dagli 80 mila che stavano marciando verso il palazzo presidenziale e che i soldati mai sarebbero riusciti a fermare. La violenza non pareva trasparire dai volti dei manifestanti che si dirigevano a Heliopolis, dove il rais ha abitato con la moglie Suzanne e i figli Alaa e Gamal. Ma i timori c’erano.


Nessuno saprà mai qual è stato il vero motore dello sviluppo improvviso che molti avevano programmato per ieri sera. E’ certo, commenta una fonte diplomatica, che ora di apre una pagina molto delicata e tutta da seguire con attenzione.


– Potrebbe essere il terzo ‘periodo intermedio’ – aggiunge l’ex ambasciatore italiano al Cairo Francesco Aloisi di Larderel – nella storia dell’Egitto. Speriamo proprio però che non sia portatore di sfortune come il primo e il secondo, che segnarono gli intervalli tra l’Antico e il Medio Regno e tra il Medio e il Nuovo.