Approvate le sanzioni Ue Gheddafi: “Tradito dai paesi occidentali”

BRUXELLES – Il Consiglio Ue ha approvato con “decisione unanime” la messa in atto della risoluzione Onu 1970 e una serie di sanzioni complementari nei confronti del rais Muammar Gheddafi e della sua famiglia tra cui il congelamento dei beni e il blocco dei visti.

L’Ue inoltre impone il bando al rifornimento di armi e munizioni e qualunque altro equipaggiamento che possa essere utilizzato per la repressione dei civili. E’ quanto ha annunciato la presidenza ungherese di turno dell’Ue al termine del Consiglio Ue energia a Bruxelles.

“Noi condanniamo le gravi violazioni dei diritti umani commesse in Libia, la violenza e la repressione deve fermarsi ed i responsabili devono essere puniti”, ha detto Catherine Ashton, Alto rappresentante della Ue per la Sicurezza e la Politica estera, a Ginevra per la riunione del Consiglio per i diritti Umani dell’Onu, sottolineando come l’Europa, adottando ieri le sanzioni varate dall’Onu, insieme “a misure aggiuntive”, intenda arrivare velocemente ad una loro applicazione. L’Ue, ha spiegato poi la Ashton, sta tentando di prendere contatti con l’opposizione a Gheddafi che si sta organizzando nelle regioni liberate del paese.
E si va verso un vertice europeo straordinario, così come richiesto da Francia, Italia e Spagna, per affrontare la questione libica e più in generale dell’immigrazione e dell’Africa del Nord, che dovrebbe avvenire “il prima possibile” secondo fonti diplomatiche.

Ma il Colonnello non molla. “Tutto il popolo libico mi ama ed è pronto a morire per difendermi”, ha detto il leader libico Muammar Gheddafi in un’intervista alla giornalista Christiane Amanpour della tv americana Abc, come ha scritto su Twitter la stessa reporter. Inoltre, ha detto nell’intervista a un gruppo di giornalisti occidentali, tra cui Jeremy Bowen della Bbc, “ho dato ordine ai miei sostenitori di non rispondere al fuoco” degli insorti, che sono in possesso di armi trafugate. Quindi ha definito il cosiddetto ‘gas mostarda’, di cui sarebbe in possesso, “un’arma terribile”. E ha precisato che nessuno mai lo userebbe come arma chimica contro il nemico, peggio ancora contro la propria gente. Il colonnello libico ha affermato di sentirsi tradito da quelle nazioni occidentali con cui aveva instaurato buoni rapporti negli ultimi anni, accusandole di voler colonizzare la Libia.

Il leader libico, ha reso noto la tv araba ‘al-Jazeera’, ha incaricato l’ex capo dei servizi segreti libici all’estero, Bouzid Durdadi, di avviare una trattativa con i rivoltosi che si trovano nella pare orientale del paese.
Ma in Libia non si ferma la rivolta. Si combatte a Misurata e dintorni e secondo quanto hanno reso noto i ribelli libici, che hanno preso il controllo della città, un elicottero militare sarebbe stato abbattuto e sarebbero stati catturati cinque soldati fedeli a Gheddafi che erano a bordo del velivolo. Mentre le truppe fedeli a Gheddafi hanno circondato la sede dell’accademia dell’esercito di Misurata ed hanno sequestrato gli allievi presenti all’interno. Secondo quanto riferisce la tv ‘al-Arabiya’, gli allievi fatti prigionieri dai miliziani fedeli a Gheddafi si erano rifiutati di combattere per il regime.
Altro fronte caldo a Bengasi, dove è caduto nelle mani dei rivoltosi il secondo aeroporto più importante del Paese, quello di al-Banin.

Si combatte anche ad al-Zawiyah, dove le truppe fedeli a Gheddafi hanno lanciato un’offensiva per riprendere il controllo della città. Qui tre soldati fedeli al regime libico sarebbero morti nel corso dei combattimenti. Scontri si registrano anche ad al-Marj, città della Cirenaica. Secondo la tv di stato 12 persone sono state “aggregite da bande armate” e poi portate negli ospedali della città.
Nelle mani dell’esercito fedele a Gheddafi c’è la città di Sabrata ad ovest di Tripoli. Secondo quanto ha riportato la tv satellitare ‘al-Arabiya’, “nella città la vita è tranquilla e la gente sostiene il regime”.

Dove l’esilio? Zimbabwe, Venezuela, Bielorussia o Serbia


ROMA – Zimbabwe e Venezuela, ma anche Bielorussia e forse Serbia: nell’assenza di informazioni certe sulla meta di una possibile fuga di Muammar Gheddafi per ora assediato nella trincea di Tripoli, appaiono questi i paesi guidati da dittatori, leader anti-americani o semplicemente dirigenti ‘amici’ che potrebbero ospitare il colonnello libico. O almeno da questi paesi sono venuti scoperti e velati segnali in tal senso.


Dallo Zimbabwe, ad esempio, è arrivata la notizia che il presidente Robert Mugabe – spesso accusato di atteggiamenti dittatoriali, persecuzioni e torture – avrebbe inviato combattenti per dare man forte a Gheddafi, offrendogli anche ospitalità nel suo paese. Dall’altra parte dell’oceano, in Venezuela, c’è sempre un presidente rivoluzionario, socialista, anti-yankee e dichiaratamente “amico”: di fronte alle notizie sui massacri ha preso un po’ le distanze dalla repressione, ma Hugo Chavez resta un alleato che non esita a diffondere nel mondo – venerdì su Twitter – un suo significativo ‘viva Gheddafi’. Significative per orientarsi fra le possibili vie di fuga del colonnello, sono state le registrazioni della torre di controllo dell’aeroporto della Valletta, a Malta: venerdì avrebbe rilevato il passaggio del jet privato di Gheddafi, in volo verso la Bielorussia prima di virare e tornarsene indietro. Il ministero degli Esteri bielorusso ha smentito la possibilità, ma Aleksandr Lukashenko, “l’ultimo dittatore d’Europa”, secondo la definizione dell’Amministrazione Usa, è certo un potenziale ospitante del colonnello. Sempre in Europa c’è poi la Serbia che ha mantenuto strette relazioni con la Libia anche dopo la dissoluzione della Federazione jugoslava, continuando i rapporti di amicizia instaurati dai componenti del Movimento dei Paesi non Allineati. E Gheddafi ha scelto un’emittente proprio una tv serba, la “Pink,” per la paradossale intervista telefonica in cui ha sostenuto ieri che la situazione in Libia è “completamente calma”.


Con i blogger che alimentano anche le voci più disparate sui luoghi di un ipotetico esilio (pure Ciad, che però Gheddafi bombardò al gas nervino negli anni Ottanta), un cono d’ombra del diritto internazionale fà pure dell’Italia una meta teorica – anche se politicamente ormai quasi impossibile. Roberto Rao, capogruppo dell’Udc in Commissione Giustizia alla Camera, ha ricordato che l’Italia non potrebbe consegnare il leader libico alla Corte Penale Internazionale de L’Aja perchè non si è ancora adeguata allo “Statuto di Roma” del 1998.