Un passo avanti nel percorso di emancipazione della donna

CARACAS – A cento anni dall’istituzione dell’otto marzo, oltre mille donne di trentacinque paesi del mondo si sono ritrovate a Caracas per rivendicare i propri diritti. La prima Conferenza mondiale delle donne della base, che è iniziata il 4 marzo ed è terminata ieri con un corteo, è il primo incontro internazionale non istituzionale ed autofinanziato che ha l’obiettivo sia di ricordare le conquiste sociali e politiche e di far sì che si estendano al maggior numero di paesi del mondo, sia di progettare nuovi strumenti contro le dicriminazioni ancora oggi esistenti.

Anche l’Italia era presente alla Conferenza con una delegazione di 14 persone provenienti da varie città (Roma, Napoli, Latina, Milano e Torino) e appartenenti a diversi collettivi, organizzazioni sociali e sindicali e movimenti femministi. Vi erano anche donne e uomini che si battono per la difesa dei diritti di genere che partecipavano a titolo individuale.

Molteplici sono stati i temi toccati nei workshop organizzati nell’incontro: dalla sessualità alla violenza, dalla femminilizzazione della miseria alla discriminazione sul lavoro, dalla tratta all’inquinamento. Nella sede dell’Università bolivariana contemporaneamente ai workshop, si sono svolte le assemblee delle delegate in cui ogni paese era rappresentato da cinque donne e lunedì è stata approvata la risoluzione finale in sessione plenaria. Fra i punti fondamentali nel documento si chiede la depenalizzazione dell’aborto, la promozione dell’educazione sessuale fin dall’infanzia, la distribuzione di contraccettivi gratuiti, l’umanizzazione del parto, la proibizione della pubblicità sessista, l’implementazione delle leggi contro la violenza di genere e la fine delle discriminazioni sul lavoro.


La risoluzione finale è stata approvata con il consenso di tutte le delegazioni, tranne il Kurdistan. Puntando il dito su una carenza nell’organizzazione e nella metodologia dell’incontro, le donne curde si sono ritirate dalla Conferenza denunciando una limitazione del diritto di parola dei paesi che avevano opinioni discordanti dal comitato preparatorio dell’evento composto da Ecuador, Venezuela, Argentina e Germania. La delegazione del Kurdistan ha anche criticato la mancanza di equilibrio fra le rappresentanze dei vari continenti mostrando come del Medio Oriente vi fossero solo quattro paesi.


Un’altra pecca è stata la mancanza all’appello di varie nazioni importanti. A varie delegazioni provenienti da continenti diversi non è stato permesso di uscire dal proprio paese a causa della mancata concessione di visti. È successo anche a una delle delegazioni più numerose: la colombiana. Circa quattrocento donne sono infatti rimaste bloccate alla frontiera.


Le partecipanti hanno posto in evidenza come le donne, anche se provenienti da paesi molto distanti e diversi tra di loro, soffrono le stesse discriminazioni e affrontano gli stessi problemi. Tra tutti i flagelli mondiali la violenza contro le donne per esempio è la più equamente ripartita: la si trova in tutti i paesi, in tutti i continenti e presso tutti i gruppi sociali, economici, religiosi e culturali.
Tra le lotte principali portate avanti dalle donne della delegazione argentina vi è infatti quella diretta all’applicazione della legge per eliminare la violenza di genere.


“Solo nel 2010 vi sono stati 260 femminicidi denunciati sui giornali – afferma Clelia Iscaro, 83 anni e tutta una vita nei movimenti femministi – ma molti altri non sono stati indagati”. Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, la prima causa di morte delle donne di età compresa fra i 16 e i 44 anni è la violenza. Un’altra delle grandi battaglie delle delegate dell’Argentina è quella per la depenalizzazione dell’interruzione di gravidanza: “Ogni giorno e mezzo muore una donna a causa della pratica dell’aborto clandestino – denuncia Iscaro -. L’illegalità obbliga le donne delle classi umili ad abortire in pessime condizioni igienico-sanitarie, mentre coloro che hanno le possibilità economiche pagano una clinica privata”.


Anche la delegata della Turchia del Movimento democratico delle donne, Eylen Yildiz, pone l’accento sulla tragedia dei femminicidi che, in particolare nel suo paese, colpisce le donne che si ribellano alle decisioni prese dalla propria famiglia al posto loro. “Le donne devono chiedere l’autorizzazione al padre e ai fratelli per sposarsi – spiega con tono duro – e spesso non denunciano neanche le violenze che subiscono”. Poi non nasconde l’arretratezza del proprio paese relativamente all’uguaglianza di diritti fra generi: “le donne sono ancora viste come un oggetto e non come un individuo, ma fortunatamente la mentalità sta cambiando. La rivoluzione dell’Islam, che ha già avviato un cambiamento nell’approccio alla relazione uomo-donna, deve essere promossa dal suo interno”. Poi conclude facendo riferimento ai danni che provoca l’inquinamento: “noi non siamo contro l’uomo ma contro la dominazione dell’uomo, e dobbiamo lottare insieme per la difesa dell’ambiente. Le donne, che da tempo hanno iniziato a non star più zitte, stanno gestendo sempre più iniziative per la tutela delle risorse naturali”.


Sul tema della tutela dell’ambiente con Yildiz concorda la venezuelana Deyanira Aguilva del Fronte delle donne d’avanguardia socialista Manuelita Sáenz: “noi donne siamo più sensibili ai danni arrecati alla natura” afferma. “Abbiamo percepito il danno enorme che governi e imprese stavano arrecando all’ambiente e oggi siamo sempre più presenti negli organi destinati alla difesa del territorio” sostiene con soddisfazione facendo riferimento anche alla sua partecipazione nella Commissione per la recuperazione del fiume Aragua, ad ovest di Caracas.


Gloria Sibongile Mtshinise del ‘Abanqobi Women Together’ del Sudafrica rileva come la prima lotta delle donne sia quella contro la femminizzazione della povertà. “Siamo oppresse doppiamente – afferma senza segni di rassegnazione -: sia da un sistema di produzione ingiusto sia come donne. La prima battaglia intrapresa dalla maggior parte delle sudafricane – conclude – è quella per procurarsi un pezzo di pane per sé e per la propria famiglia. Solo dopo aver provveduto alle necessità primarie la donna può pensare a lottare per i suoi diritti”.


Concordando con Sibongile, anche Angela D’Alessandro della casa d’accoglienza Lucha y Siesta di Roma rivela come in Italia da tempo i movimenti femministi popolari siano morti e la rivendicazione dei diritti delle donne sia diventata un hobby delle ‘radical chic’. “A seguito dello scandalo Ruby, stiamo assistendo a una spettacolarizzazione della mercificazione del corpo femminile – afferma con tono deciso –. È importante oggi risvegliare i movimenti provenienti dal basso per ricominciare la lotta per le pari opportunità che si è fermata dopo le grandi conquiste degli anni ’70 del divorzio e dell’aborto”.


Secondo l’altra delegata italiana alla Conferenza, la giornalista del Manifesto Geraldina Colotti, i movimenti femministi italiani si sono spenti negli anni ’80 anche per il venir meno dei movimenti radicali di sinistra. Poi sottolinea intravedendo un barlume di speranza: “la manifestazione del 13 febbraio a Roma contro la rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale a cui hanno partecipato un milione di persone è stato un buon inizio”.


Secondo l’attivista dei diritti umani e curatrice di un blog sull’America latina, Annalisa Melandri, è stato importante arrivare a un consenso fra tutte le delegate per denunciare le migliaia di morti per aborto clandestino, la violenza che colpisce tre donne su cinque sulla terra e la disparità di trattamento salariale per cui le donne percepiscono il 25 per cento in meno dello stipendio degli uomini. “Sono tre piaghe – afferma – per le quali continueremo a batterci. Per questo motivo si è deciso che la Conferenza mondiale si rifarà fra cinque anni”.


Tutte le delegate infine hanno sottolineato come, a 100 anni dall’inizio della lotta per l’emancipazione femminile avviata da Clara Zetkin, è fondamentale costruire un movimento internazionale di donne che sia propulsore della diffussione di una coscienza femminista.

I paesi presenti


Oltre ai quattro paesi promotori dell’incontro (Ecuador, Venezuela, Argentina e Germania), che hanno cominciato a riunirsi nel 2007, sono stati presenti Messico, Colombia, Romania, Olanda, Francia, Repubblica dominicana, Svizzera, Bangladesh, India, Mali, Indonesia, Egitto, Marocco, Serbia, Sudafrica, Kurdistan, Irak, Austria, Afghanistan, Brasile, Iran, Portogallo, Bolivia, Belgio, Turchia, Cile, Perù, Eritrea, Filippine, Usa e Italia.

I temi dei workshop


Ad ogni workshop hanno partecipato 30-40 persone, la maggior parte erano donne, ma vi erano anche uomini. I temi erano i seguenti: la doppia oppressione della donna, la violenza di genere, la schiavitù, la prostituzione; il diritto delle donne a decidere sul proprio corpo, l’educazione sessuale, i contraccettivi e l’aborto; i movimenti femministi; la partecipazione delle donne nelle lotte sindacali e la discriminazione sul lavoro; il lavoro delle donne contadine e la riforma agraria; la fame e la malnutrizione nel mondo; le donne indigene e migranti e i movimenti contro il razzismo; le donne giovani e il loro inserimento nel mondo del lavoro; i risultati delle lotte delle donne socialiste nel XX secolo e il ruolo delle donne nelle battaglie per la l’indipendenza dei popoli; la donna e la tutela dell’ambiente; la partecipazione delle donne nei partiti politici e nelle organizzazioni non governative.