In Libia si combatte, Gheddafi vuole piegare i ribelli in 48 ore

TRIPOLI – In Libia si continua a combattere. Da Zintan ad Ajdabiya prosegue l’offensiva delle forze leali a Muammar Gheddafi, intenzionate a piegare la resistenza dei ribelli entro 48 ore, come dichiarato ieri da Saif al-Islam, figlio del Colonnello. Intanto, la comunità internazionale continua a discutere, senza agire, su come intervenire.


Si combatte soprattutto a Est, con le truppe di Gheddafi che avanzano verso Bengasi. Ventisei persone sarebbero morte negli scontri che da martedì si susseguono ad Ajdabiya. La città sarebbe stata riconquistata dalle truppe fedeli a Muammar Gheddafi, anche se i ribelli non sembrano intenzionati ad abbandonare la città, definita “strategica e vitale”, l’ultimo feudo prima della roccaforte Bengasi. A Ovest, ci sarebbero stati almeno 11 morti e una ventina di feriti a Misurata, città ancora controllata dai ribelli. Le truppe di Gheddafi sarebbero entrate in un’altra città in mano all’opposizione al regime, Zintan, che si trova 120 chilometri a sud-ovest di Tripoli.


Con l’avanzata delle truppe leali a Gheddafi, la Casa Bianca comincia a ventilare almeno in privato l’idea che una “no-fly zone”, tanto discussa a livello internazionale, servirebbe ormai a poco. A Washington si discute di possibili alternative per aiutare i ribelli libici, ma comincia a prendere corpo l’idea di tenere gli Stati Uniti alla larga dal conflitto. Questo il punto della situazione a metà settimana fatto dal “New York Times”, che ha citato una fonte di alto rango della Casa Bianca. Gli Usa, secondo altre fonti vicine al presidente, non si opporranno comunque al tentativo di altri paesi di trovare un consenso all’Onu per il divieto di sorvolo.


E contempla una “no-fly zone” sull’intera Libia il progetto di risoluzione presentato ieri al Consiglio di sicurezza dell’Onu da Francia, Gran Bretagna e Libano. Diversi diplomatici hanno già espresso perplessità sul divieto di sorvolo e, almeno al momento, sembra difficile che il testo possa passare. La bozza, preparata dalla Gran Bretagna e dalla Francia assieme al Libano (portavoce della Lega Araba in Consiglio), prevede il divieto di sorvolo e mira a imporre sanzioni più stringenti contro il regime di Gheddafi. Se GB e Francia premono per approvare la risoluzione “al più presto”, gli altri Paesi con potere di veto in Consiglio sono tiepidi: gli Stati Uniti hanno una posizione defilata, la Russia sembra scettica ma possibilista, la Cina la considera un’ingerenza negli affari interni di un Paese sovrano.


Anche tra i delegati senza potere di veto non c’è una linea comune. Portogallo e Germania preferiscono puntare su sanzioni più dure ma non su interventi di tipo militare, mentre la Colombia si è detta invece favorevole. Nessuna reazione ufficiale finora dagli altri ambasciatori chiamati a dire la loro sul testo: sono i delegati di Bosnia, Brasile, Gabon, India, Nigeria e Sudafrica.


L’Italia è favorevole a una ‘no-fly zone’ in Libia ma si oppone a ogni ‘azione unilaterale di tipo militare’ che non abbia il via libera del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e ‘un quadro di legittimazione regionale’.
“Solo la minaccia dell’uso della forza può fermare Gheddafi” ha scritto sul suo blog Alain Juppé, ministro degli Esteri francese, aggiungendo che “diversi Paesi arabi sono pronti a partecipare” a un’operazione militare. “Non è troppo tardi per intervenire” ha sottolineato.


Con le truppe che continuano ad avanzare, prefigurando il ritorno dell’intera Libia sotto il controllo del regime, la famiglia Gheddafi intensifica gli interventi televisivi. Saif al-Islam, figlio del Colonnello, ha dichiarato, in un’intervista a Euronews, che “le operazioni militari sono finite. Nelle prossime 48 ore sarà tutto finito. Le nostre forze sono quasi a Bengasi” aggiungendo che qualunque decisione sarà adottata dalla comunità internazionale, compresa quella su un’eventuale zona di interdizione di volo, arriverà “troppo tardi”.
Saif ha poi inveito contro il presidente francese, Nicolas Sarkozy, colpevole di essere stato il primo a riconoscere il Consiglio nazionale della rivoluzione di Bengasi. Il figlio di Gheddafi ha inoltre annunciato la prossima diffusione dei documenti che attestano il versamento di soldi libici a Sarkozy, per la sua campagna elettorale. “Per prima cosa bisogna che Sarkozy restituisca alla Libia i soldi con cui ha finanziato la sua campagna elettorale – ha detto Saif – siamo noi ad aver finanziato la sua campagna, abbiamo a disposizione tutti i documenti e siamo pronti a renderli pubblici. Ecco la prima cosa che chiediamo a questo pagliaccio: ridacci il nostro denaro”.