Quattro mesi di cambi di casacca, acque agitate anche nel Pd

ROMA – Dice di farlo “per una riflessione politica e non per calcolo”. “Al cuor non si comanda”, annuncia. E “cuore e cervello” l’avrebbero portato al grande passo: abbandonare il Pdl per passare nei ranghi dei finiani.
L’ultimissimo della lunga schiera di coloro che hanno deciso di cambiar casacca è Luigi Muro, deputato napoletano subentrato alla Camera al posto del dimissionario Domenico De Siano, che, per annunciare la svolta, ha scelto la ribalta della prima assemblea nazionale di Fli.


Ma quanto a ‘tasso’ di attaccamento al partito, non va meglio in casa Pd dove minacce di addii e fughe compiute sono ormai all’ordine del giorno: e se gli esponenti nazionali di area ex Margherita, oggi MoDem, rumoreggiano e invitano il segretario Bersani a invertire la rotta, passano all’azione il consigliere regionale del Veneto Andrea Causin e il sindaco di Cosenza Salvatore Perugini. Un via-vai politico che pesa anche sulla conta dei voti.


Dopo la scelta di Muro il gruppo di Fli a Montecitorio passerebbe a 29 parlamentari. Ma sul numero definitivo pesa ancora l’incognita Cosenza: la deputata che, nelle scorse settimane, annunciò l’intenzione di tornare nel Pdl. Pure lei, anche se con altro significato, parlò di motivi di cuore, alludendo alla fine della sua storia con l’ex ministro Andrea Ronchi e all’impossibilità di restare tra gli stessi banchi. Annunciato, però, l’addio non è stato ancora formalizzato.


Più deciso Muro che ci tiene a precisare ai nuovi amici di Fli di aver comunicato la sua scelta al presidente Berlusconi, ai coordinatori, ai capigruppo e al coordinatore regionale. “A tutti – spiega – ho detto che non intendevo proseguire”.


“Non so se sarò rieletto deputato – dice a testimoniare che il calcolo con l’addio non c’entra -, ma non l’ho fatto fino a 50 anni posso anche non farlo più. Sono un umile rappresentante di una classe dirigente del Sud che non vuole prebende, contraria alla nascita di tanti piccoli partiti nel Mezzogiorno”.
Come accennato, però, chi per cuore, chi per altro, in molti hanno deciso di cambiare casacca: solo per citarne alcuni i senatori di Fli Pasquale Viespoli, ex capogruppo, Maurizio Saia, Giuseppe Menardi e Francesco Pontone. E, alla Camera, Roberto Rosso, la deputata italo-marocchina Souad Sbai, Maria Grazia Siliquini e Luca Barbareschi che strappò a Fini l’epiteto di “pagliaccio”.


Defezioni, alcune, seguite alle nomine di Italo Bocchino a vice di Fini e di Della Vedova a capogruppo alla Camera. Altre, da leggere come effetti dell’azione di “pressing” di Berlusconi. Solo mal di pancia poi rientrati quelli di Adolfo Urso e Andrea Ronchi, invece, che avevano lasciato il Governo per seguire il presidente della Camera nel Fli e che, alla fine, però, non hanno abiurato.


Mentre la maretta nel Pd sembra montare: e da alcune parti arriva l’invito ai vertici a non mimizzare e, per usare le parole del deputato veneto Rodolfo Viola, “a non mettere la polvere sotto al tappeto”. “Leggiamo sulla stampa le reazioni del gruppo dirigente regionale e nazionale sulla uscita di Causin. – dice – Nessun accenno di autocritica, al contrario la auto assoluzione consolatoria di trovarsi di fronte ad un problema personale, di uno che pensa agli affari suoi e che non si occupa dei problemi della gente”. Gli fa eco Giorgio Merlo: “Il disagio e il malessere che serpeggiano – sostiene – non possono innescare la fuga indiscriminata dal partito. I cattolici democratici, i popolari e i moderati nel Pd svolgono un ruolo decisivo per riconfermare la sua natura ‘plurale’. Chi scappa rischia di favorire solo il progetto dei Latorre di turno che coltivano lo strano e bislacco disegno di trasformare il Pd solo in un ‘grande partito di sinistra’”.