Fini: «Tutelare l’autonomia delle toghe»

ROMA –  E per puntare il dito contro le divisioni che esistono in Italia e in Europa a cominciare dalla guerra in Libia. Ad offrirgli ‘lo spunto’ per il suo ‘j’accuse’ è il libro che ha scritto, ”L’Italia che vorrei”, che presenta all’auditorium dell’Ara Pacis insieme all’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato.


La premessa è quasi scontata: l’Italia di oggi è ben diversa da quella che vorrebbe. Le forze politiche litigano in continuazione; si pensa troppo al presente e non si progetta il futuro.


– Si deve uscire da questa logica di derby perenne – è il suo appello, perchè così non si crea il domani. Amato concorda e ribadisce: la società italiana è troppo impegnata ad occuparsi dell’oggi e dei propri singoli egoismi. Anche la continua ”caccia al voto utile”, interviene Fini, degenera per forza nel ”populismo”. E se anche il ”leader populista non fosse stato Berlusconi”, ce ne sarebbe stato un altro, assicura, perchè è proprio l’attuale impostazione della politica italiana che non consente via d’uscita.


Compito dei governi e delle maggioranze, incalza l’ex leader socialista, dovrebbe essere quello invece di far crescere la società. Il ‘boom’ che ci fu negli anni ’60, ricorda, ebbe radici negli anni ’20 e ’30 quando si impostò ‘il Piano Senigallia’ e quando l’Eni gettò le basi per un certo tipo di politica industriale ed energetica. Anche l’incentivare le piccole imprese in fondo non si è rivelata una scelta vincente perchè poi ”quelle, quando hanno assicurato un futuro alla propria famiglia, vendono..”.


Si deve fare ora ciò che darà frutti domani. E la ricerca rientra in questo quadro.


Allo stato, invece, assicura la terza carica dello Stato, ”non c’è un solo valore unificante tra le forze politiche in campo”. E questo non consente di fare le riforme necessarie. Non è possibile, osserva, che l’unico obiettivo di una maggioranza politica sia quello di cancellare ciò che ha fatto la precedente. Ci sono troppe cose da fare: si deve rivedere il bicameralismo (”si fece perchè si veniva dall’ esperienza fascista”), si deve riformare il Paese, si deve garantire un futuro alle nuove generazioni. E invece soprattutto sui giovani, insiste Fini, l’encefalogramma della politica è ”assolutamente piatto”. L’errore alla base di tutto, assicura, è il ”presentismo”’ che porta a vivere solo ”nell’istinto e nell’ istante”. Se si uscisse da questa logica e si pensasse di più al domani, l’Italia potrebbe crescere. Ma allo stato non sembra cosa facile. E la gente è stanca dello scontro continuo.


L’inquilino di Montecitorio parla poi di federalismo, che dovrebbe unire e non dividere; critica l’idea di Padania bollandola come ”una sciocchezza”; si dice soddisfatto per come gli italiani abbiano ‘sentito’ i festeggiamenti per i 150 anni dimostrando una cultura unitaria; e mette in guardia su quanto sta avvenendo nei Paesi Arabi. Se le cose, a cominciare dalla Libia, non dovessero andare nel verso favorevole, afferma, ”le conseguenze potrebbero essere epocali” perchè ciò che accade nel Maghreb condizionerà l’Italia. In occasione della ‘guerra’, conclude, si è visto come l’Europa di fatto ancora non esista anche se è alle ”sue dinamiche” che l’Italia si deve ancorare.