Eccidio di Dos Erres, in 7 in carcere dopo 29 anni

CITTÀ DEL GUATEMALA – I guatemaltechi non dimenticano l’impunità legata ai crimini commessi durante la guerra civile (1960-1992).

È del 25 marzo l’ultimo arresto in relazione a una delle stragi più efferate della dittatura: l’eccidio di “Dos Erres”, nel quale vennero uccisi 252 indigeni Maya. Era il 1982 e da allora sono stati arrestati solo sette dei sedici responsabili. Il settimo è appunto un militare, rintracciato e arrestato Quezaltepeque, Chiquimula, un paesino a 170 chilometri a est della capitale. Lo rende noto Famedegua, l’associazione dei familiari delle persone detenute e scomparse in Guatemala, parte civile nel processo.

Si chiama Daniel Martínez Méndez ed era un vice-istruttore dei Kaibiles, un gruppo di contro-insurrezione dell’Esercito. Con altri 15 persone commise una delle peggiori azioni in 36 anni di guerra civile. Secondo i dati delle Nazioni Unite, questa guerra ha lasciato dietro di sé quasi 200mila vittime, fra morti e desaparecidos.

Tutto accadde fra il 6 e l’8 dicembre 1982: uomini, donne e bambini vennero violentati, torturati e assassinati dai soldati. I militari decisero di costruire un distaccamento a Las Cruces, nei pressi di Dos Erres, giurisdizione del municipio La Libertad e costrinsero tutti gli abitanti a versare denaro dietro minaccia durante sette anni. A complicare il tutto, bande paramilitari riunite nelle Patrullas de Autodefensa Civil (Pac) aiutavano l’esercito.

Nel febbraio 1982, con un colpo di stato, arrivò al potere il generale José Efraín Ríos Montt, che ordinò una ferrea reazione alla guerriglia mettendo a ferro e fuoco le province in cui questa era più radicata. Molti villaggi vennero rasi al suolo. Una strategia che venne subito battezzata “terra bruciata” e che si tramutò in gigantesche violazioni dei diritti umani.

Il 6 dicembre fu massacrata la popolazione di Dos Erres da un gruppo di uomini armati senza uniforme. Un ufficiale violentò un bambina. Erano le tre e mezza della notte. Alle otto del mattino arrivò l’ordine di uccidere tutti. Alle due del pomeriggio iniziò il plotone d’esecuzione. I primi a venire fucilati furono i bambini. Un bebè di quattro mesi venne lanciato vivo nel pozzo. Gli adulti assistevano rinchiusi nella chiesa protestante. Alcune bambine di dodici e tredici anni vennero prima violentate.

Quindi fu la volta delle donne. Per ultimo gli uomini. Appena il pozzo fu pieno di corpi venne ricoperto di terra. Poco importava se dentro qualcuno respirava ancora. Erano le cinque del pomeriggio. Gli altri furono finiti in altri due posti non lontano da lì. Per loro niente fossa comune, vennero lasciati sotto il sole.
Ancora otto persone responsabili di tanto orrore sono a piede libero. Ma la voglia di giustizia dei guatemaltechi avrà la meglio. Nessuno potrà dimenticare. E nessuno si darà pace fino a che ognuno dei sedici assassini non sarà condannato da un tribunale.