Governo, oggi test in Aula: quota 330 per rispondere al Colle

ROMA – ‘’Sono tranquillo. Sappiamo che ci sono diverse persone in missione e due malati, la maggioranza è di 322’’. Così, un mese fa, Silvio Berlusconi gettava acqua sul fuoco di quei 314 sì con cui la Camera aveva approvato il federalismo municipale blindato dal voto di fiducia. Ma le perplessità del Quirinale che a più riprese, negli ultimi giorni, avrebbe avanzato dubbi sulla capacità del Governo di andare avanti fino alla fine della legislatura senza strappi istituzionali e forzature, sembrano avere spinto il premier a spostare in alto ‘’l’asticella’’. Fino a quel ‘’330’’ – tanti, a suo dire, sarebbero i deputati sui quali la maggioranza potrà contare entro la settimana – diventato ormai un rassicurante leit motiv di tutti gli interventi pubblici del presidente del Consiglio.

“Arriveremo a 330’’, va ripetendo Berlusconi. ‘’Il Governo non c’è’’, risponde l’opposizione che parla di “Esecutivo fantasma’’ e invoca il voto anticipato. Ma l’ostentazione di sicurezza del presidente del Consiglio dovrà fare i conti, oggi, col test del voto d’Aula sul conflitto di attribuzione sul caso Ruby, spinoso banco di prova per un premier che non ha alcuna intenzione di replicare la performance della settimana scorsa sul verbale del processo breve.

Quel Consiglio dei Ministri interrotto per consentire alla squadra dell’Esecutivo di votare e garantire la tenuta della coalizione, le polemiche, la bagarre di Montecitorio e la reprimenda del capo dello Stato, preoccupato, oltre che per lo spettacolo “poco dignitoso’’ offerto dal Parlamento, per la governabilità del Paese, hanno creato più di un problema a Silvio Berlusconi e alla maggioranza tutta. Lega in testa.

La preoccupazione, ora, è dunque dimostrare, in primis al presidente della Repubblica, che i numeri ci sono. Non solo per vincere in Aula, ma per governare il Paese e allontanare lo spettro di uno scioglimento delle Camere. E che si tratti di un passaggio molto delicato per la coalizione si capisce anche dalla “chiamata alle armi’’ dei deputati del Pdl, convocati in massa per il voto di oggi. Da venerdì sera la macchina del partito si è messa in moto. Telefonate, ma soprattutto sms dal tono ultimativo ‘’presenza obbligatoria per tutti’’ – a cui il Pd, peraltro, ha risposto con messaggini di forma diversa ma di uguale tenore – rendono bene l’idea della ‘’trepidazione’’ del momento. Una precettazione in massa che va di pari passo con i continui richiami del premier alla compattezza. Costretto a fare i conti con la Lega preoccupata per gli annunciati trasferimenti degli immigrati nelle regioni del Nord, con le aspettative di quanti attendevano un rimpasto ormai sempre meno imminente, con le tensioni interne al partito sfociate tra l’altro nella dura presa di posizione di Claudio Scajola all’indomani del caso la Russa, il premier, sempre più spesso, inviterebbe i suoi a serrare i ranghi. Ma i fronti – da qui l’obiettivo stringente dei 330 di cui si starebbero occupando Denis Verdini e Daniela Santanchè – rischiano di moltiplicarsi: l’ultimo vede protagonisti 62 deputati del Pdl che, in un’accorata lettera al premier, chiedono chiarezza sulla distribuzione dei migranti nel territorio nazionale invocando un’equa distribuzione tra Nord e Sud e mostrando di condividere le preoccupazioni del sottosegretario Alfredo Mantovano fermo, nonostante l’invito di Berlusconi, a non ritirare le sue dimissioni.