Siria, ancora spari in piazza: 9 morti ai funerali delle vittime del Venerdì Santo

DAMASCO – E’ di almeno nove morti il bilancio delle vittime degli attacchi condotti dalle forze di sicurezza siriane contro migliaia di persone riunite per dare l’ultimo saluto ai manifestanti uccisi ieri dall’esercito di Damasco, 112 vittime secondo il sito di Facebook della Rivoluzione Siriana 2011. Un attivista siriano di Daraa, la città al sud del Paese epicentro della rivolta popolare contro il presidente Bashar al-Assad, ha spiegato all’agenzia di stampa Dpa che sei persone sono state uccise a «Daraa e nella vicina regione di Houran» che partecipavano al funerale di 23 manifestanti uccisi ad Azraa durante le proteste del Venerdì santo.


«Abbiamo avuto informazioni che anche tre persone in lutto che partecipavano a un funerale vicino a Damasco sono state uccise – dice – Migliaia di persone hanno partecipato ai funerali delle vittime del ‘Massacro del Venerdì santo’»


In quest’ultimo caso, gli spari verso la folla (oltre 50 mila persone) che partecipava ai funerali a Douma, sobborgo di Damasco, sono partiti dai tetti dove erano appostati cecchini del regime, secondo quanto denunciato da attivisti locali per i diritti umani.


Con le vittime delle proteste di ieri sale a 318 il numero dei morti dall’inizio della rivolta popolare, scoppiata il 15 marzo nella città di Daraa. Quello di ieri è stato il giorno più sanguinoso dall’inizio della rivoluzione: le forze della sicurezza hanno sparato ad altezza uomo e sono stati colpiti anche bambini.


Eppure la manifestazione doveva essere il più grande raduno pacifico da due mesi a questa parte. Il riferimento alle festività pasquali per i cristiani e la chiamata a scendere in piazza dopo la tradizionale preghiera islamica del venerdì era un modo per sottolineare come gli appartenenti alle due fedi religiosi fossero uniti nel chiedere un cambio nel regime di Damasco.


Da Washington, Barack Obama ha condannato «nel modo più duro possibile» l’uso della forza da parte dell’esercito siriano contro i dimostranti.


– Questo vergognoso uso della forza per fermare le violenze deve fermarsi subito – ha detto il presidente Usa. L’abrogazione da parte del governo siriano della legge di emergenza, che è stata decisa il giorno prima dei violenti scorsi e che avrebbe dovuto permettere manifestazioni pacifiche, «non è stata adottata seriamente considerato che è continuata la repressione violenta delle proteste», ha detto ancora Obama.


Il presidente americano ha poi accusato il governo siriano di «vergognosi abusi dei diritti umani».


– Il popolo siriano ha chiesto le libertà di cui le persone di tutto il mondo dovrebbero poter godere – ha continuato – la libertà di espressione, associazione, riunione pacifica e la possibilità di scegliere liberamente i propri leader. Il presidente Assad e le autorità siriane – ha aggiunto – hanno ripetutamente rifiutato le loro richieste e scelto la strada della repressione.


Anche il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ha chiesto l’immediata fine della repressione ed ha chiesto a Damasco di rispettare i diritti umani.


Pronta la risposta di Damasco secondo cui Obama ha rivolto alla Siria «accuse irresponsabili» sottolineando che la condanna sui fatti di ieri non esprime «un’oggettiva e completa visione di quello sta realmente succedendo». Nella dichiarazione rilasciata all’agenzia ufficiale Sana da una fonte del governo, si esprime anche massima sorpresa per il fatto che l’amministrazione Usa «insiste nel ripetere accuse» infondate riguardo alla fatto che la Siria avrebbe chiesto l’assistenza dell’Iran nel gestire quelli che vengono definiti affari interni. Le accuse americane, aggiunge la fonte di Damasco, sono quindi «irresponsabili e parte di una provocazione che mette in pericolo la sicurezza del nostro popolo».


Intanto, due deputati siriani, Khalil el-Rafaei e Nasser al-Hariri che provengono da Daraa – ha riferito la tv satellitare al-Jazeera in un banner apparso sullo schermo – hanno presentato oggi le loro dimissioni dal governo di Damasco in segno di protesta per l’uso eccessivo della forza contro i manifestanti.