Caracas, due chiacchiere con i ‘codazzini’ della III Liceo

CARACAS – Perennemente in bilico tra due mondi e due culture, desiderosi di lasciare un Paese che – credono – ha poco da offrire per, magari, trasferirsi nella terra natale delle loro famiglie. Sono i ragazzi e le ragazze della III liceo del Colegio Agustin Codazzi, scuola italiana della capitale che in Venezuela offre un percorso di studi made in Italy dall’asilo al liceo.


Quasi tutti sono iscritti alla scuola italiana fin da piccoli, dalla prima elementare o addirittura dall’asilo. I loro genitori, di discendenza italiana, hanno deciso per loro l’Istituto da frequentare. L’idea era quella di offrirgli la possibilità di avere un titolo di studio più riconosciuto internazionalmente, dunque più possibilità lavorative. E, nello stesso tempo, mantenere viva la passione per quella cultura italiana che si erano lasciati dietro le spalle solcando l’oceano.


– Non ho scelto io di studiare qui, lo hanno fatto i miei genitori perchè la mia famiglia è italiana – ci dice Lorean Prevete, 17 anni.


Le fa eco Barbara Leopoldi:
– Sono alla Codazzi dalla 5ta elementare – racconta la 17enne -. Studio qui perchè anche mio padre ed i miei zii hanno frequentato questa scuola quando sono arrivati in Venezuela, da piccoli, con i miei nonni.
Filippo Moggioli, 16 anni, è più radicale.


– Sono in Venezuela solo di passaggio – ci dice -. Tutti i miei parenti sono italiani e spero di fare anche io la mia vita Italia.


Da figli o nipoti di migranti che sono, i liceali della Codazzi hanno le idee chiare: di restare in Venezuela, non se ne parla.


Interrogandoli sulle possibili future destinazioni la prima risposta è immediata e secca: “l’Italia”. Alcuni l’hanno visitata durante brevi periodi di vacanza, e credono di conoscerla bene.


– È sicura – afferma Barbara riscuotendo gli assensi dei compagni -. Là possiamo fare tutto quello che qui non possiamo fare, c’è più sicurezza e quindi più libertà. Si può camminare o andare al cinema senza avere paura, senza il timore che ci rubino il cellulare. Anche i nostri genitori, perennemente in angustia, starebbero certo più tranquilli.


Ma l’Italia non è l’unica meta. Dopo qualche secondo di più mirata riflessione, i ragazzi parlano di Francia, Spagna, Inghilterra, Miami, addirittura Giappone.


C’è però chi si rammarica di non poter restare in Venezuela.
– Sono ancora molto dubbioso – balbetta Paolo Guarente -. Mi piacerebbe restare a studiare qui ma la situazione, nel Paese, non è buona e purtroppo andrò a studiare in Italia.


Quasi tutti gli studenti hanno le idee chiare sul loro futuro. “Voglio studiare a Roma, come mio fratello” ci dice Gabriella Balestrini. Si aggiunge Laurean Prevete, “Andrò all’Università di Torvergata a studiare Scienze della Comunicazione” ed infine anche Filippo Maggioli: “Studierò medicina al Sacro Cuore di Roma”.


Se in classe qualcuno è assolutamente certo di non restare per molto tempo in Venezuela, quello è Stefano Sabbatini. Lui è nato e vissuto in Italia, è nella terra di Bolivar solo per seguire la madre, figlia di emigranti degli anni Cinquanta, ed è l’unico iscritto alla Codazzi solo dalla terza media.


– Il Venezuela non mi piace. Voglio andare in Europa, meglio se in Spagna. Qui non ho la qualità di vita di cui voglio godere nella mia vita.
Come i loro avi del dopoguerra, i ‘codazzini’ sono certi che espatriare sia la risposta al loro desiderio di una vita migliore. Pensando all’Italia, non parlano di crisi occupazionale, precariato o disoccupazione. Sono però coscienti che, se non potranno utilizzare gli euro ed i dollari di mamma e papà, dovranno procurarsi una borsa di studio – alcuni già si sono attivati in questo senso analizzando le possibilità offerte dall’Istituto italiano di cultura o dal Consolato – o arrangiarsi come studenti-lavoratori. Qui nascerebbero i problemi dati dalla frequenza obbligatoria alle lezioni universitarie, dal caro-affitti, dal lavoretto serale che rende difficile ripassare per l’esame del giorno dopo… Ma i ragazzi per ora non ci pensano. Si preoccupano solo del fatto che dovranno “lasciare tutto e ricominciare daccapo”, come dice Laurean. “Lasciamo il certo per l’incerto”, rimarca Stefano.


– I nostri genitori sarebbero felici se espatriassimo. Ma ricominciare senza l’appoggio della famiglia è difficile. Inoltre siamo stati abituati ad avere sempre gli stessi compagni di classe, sempre gli stessi amici, e all’estero ci ritroveremmo soli in un ambiente nuovo, in aule di decine e decine di persone – ci dicono preoccupati dal primo banco.


– Io andrò a Miami perchè perchè per me la famiglia è importante e non voglio mettere troppa distanza tra me e quest’ultima – ci dice Laurean -. E dato che tutti i miei cari resteranno in Venezuela, stando a Miami sarebbe più facile andarli a trovare. L’Italia è troppo lontana. Inoltre – prosegue – voglio studiare medicina e negli States questo settore è più avanzato.


Una volta varcati i confini, questi giovani non saranno più ‘codazzini’. Si trasformeranno in immigrati. Con tutto ciò che la parola comporta. “Qui l’ambiente è più aperto, i venezuelani non trattano male gli stranieri. In Italia invece questi sono visti male perchè la gente dice che rubano lavoro” ci spiegano dai banchi. “Inoltre se qui siamo considerati italiani, in Italia la cosa sarà al rovescio e saremo considerati latinoamericani – precisa Prevete -. Si vive basicamente tra due mondi, nelle due culture”.


Ma quali sono queste due culture?
– Dal punto di vista culturale in Europa non ti può mancare nulla. Qui il livello è bassissimo – tuona una ragazza – le persone non si sentono cittadini, non amano il proprio paese. Non può mancarti nulla in un altro posto. Non è che io odi il mio paese: è un bellissimo posto. Che però sta attraversando un momento difficile.
Alla fine, si abbandonano i toni seri e si scherza un po’. “Qui la gente è più allegra, disponibile. Se vai ad una festa e parli con una persona – sorride una ragazza – dopo pochi minuti sei già una ‘pana’” . “No – ribatte un’altra – qui siamo solo più ipocriti. Fuori dal Venezuela non ti fai un nuovo amico ad una festa ma almeno le persone sono sincere, non sparlano e sai quello che pensano davvero di te. O perlomeno, a me in Inghilterra è sembrato così”. Beata gioventù!