Il Cafetìn di Chacao è chiuso, ma i suoi clienti non si rassegnano

CARACAS – Spenta la macchina per il caffè espresso, riposte le carte per giocare a tresette o a ramino. Saracinesca abbassata da ottobre. Come tanti pensionati italiani, anche Nino D’Ascanio non ha ancora digerito la chiusura del suo amato ‘cafetín’ di Chacao. Ora frequenta con gli amici un altro bar del quartiere, ma ha nostalgia della sua “seconda casa”, come amava chiamarlo. Il Cafè Sucre – questo il vero nome del locale – fin dalla fine degli anni Quaranta offriva agli antichi pionieri come lui uno spazio dove portare avanti le proprie tradizioni, i propri dialetti. Si parlava di calcio, di politica. Si organizzavano, senza sosta, tornei dei più disparati giochi di carte. “Qui ci si riuniva fino a tarda sera – ci dice Nino – tra paesani si era tutti amici”.

Dietro al bancone del cafetìn si sono susseguite le generazioni. Il primo a gestire il bar era stato Paolo Giannotti, poi la figlia Magda ed infine Marcia Schettini, la nipote. Con un caffè schiumoso accoglievano i clienti già di prima mattina, prima che questi passassero in banca o andassero a comprare il giornale.
Il bar, stando a quanto raccontano alcuni tra i più fedeli clienti, è stato chiuso a causa di una serie di irregolarità.


Una volta deceduta Magda, titolare storica del Cafè Sucre, la “presunta padrona”, racconta l’ex cliente Emilio Cicero, ha iniziato ad aumentare l’affitto del locale in modo sconsiderato, passando da circa 1000 BsF a 6, 7 mila BsF. È stata una ‘presunta’ padrona in quanto, spiegano, questa è solo una nipote che non possiede realmente la proprietà. Sarebbe stata lei ad approfittare del funerale di Magda, quando parenti ed amici erano riuniti al cimitero, per correre al bar e provare a cambiare la serratura della saracinesca. Intento che, spiaga Nino, non è andato a buon fine solo per l’occhio lungo di quelche vicino che è intervenuto.


Il bar soffriva già problemi economici, ed era stato ‘clausorado’ dal Seniat per mancato pagamento delle imposte. Si era pensato di trasformarlo in una ‘arepera’, ma non c’è stato nulla da fare. Non si riusciva a pagare il nuovo affitto e il debito accumulato con l’Alcaldia di Chacao, spiegano i clienti, sfiorava i 15 mila BsF.


– Bisogna fare qualcosa – tuona Alessandra Di Marco, artista italo-venezuelana che abita in un appartamentino davanti al bar -. Il Cafè Sucre è un patrimonio culturale di Chacao!
Ma il vecchio Nino è poco ottimista.
– Perdiamo tempo a lottare. I patrimoni culturali non hanno più valore. Certo – bisbiglia – se chiudesse il Centro Italo ci sarebbe tutta un’altra reazione…


(Fotografie di Adalberto Nieve e Ivan Gonzalez).